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Con gli occhi della logistica. Zapruder 46 Open Access!

A distanza di un anno dalla pubblicazione del n°46 di Zapruder Block the Box. Logistica, flussi, conflitti è possibile accedere gratuitamente al numero completo dal sito di Storie in Movimento.
Per l’occasione, pubblichiamo l’introduzione dei due curatori, Mattia Frapporti e Niccolò Cuppini. Nello stesso numero, ci sono anche un articolo di Carlotta Benvegnù sui magazzini della logistica a Parigi e uno di Maurilio Pirone sul platform capitalism


Lunghissime condotte per il trasporto di gas e petrolio si snodano per tutto il pianeta mentre enormi navi-cargo muovono sempre più velocemente altre materie prime. Fabbriche automatizzate le lavorano, elaborano e assemblano in prodotti finiti, spostandosi per il globo alla ricerca delle condizioni più convenienti. I vecchi confini statal-nazionali per la mobilità di tali prodotti sono ormai un vago ricordo lontano: il flusso è continuo e dinamico e non incontra interruzioni di sorta. All’interno di città sempre più smart, mobili e flessibili grazie a tecnologie sofisticate, all’uso dei container e agli edifici costruiti da stampanti 3D, i big data raccolti dalle piattaforme online suggeriscono i prodotti più adatti per soddisfare i desideri di ciascuno. Nel tempo di un click l’ordine fatto via smartphone viene consegnato dai droni e l’umano è quasi un cyborg grazie alla compiuta introiezione tecnologica. Il denaro (e le merci) fluiscono in tempo zero basandosi su dispositivi di blockchain che riconfigurano tutte le istituzioni centralizzate del passato, dalle banche agli stati. Le guerre sono operazioni di polizia che ormai si combattono a distanza: a scontrarsi sono praticamente soltanto i soldati-robot.

Questa immagine utopica e distopica allo stesso tempo, proiettata già decenni or sono dai romanzi di Philip K. Dick e da film fantascientifici, e più recentemente ripresa da serie tv come Black Mirror e da moltissimi altri immaginari, oggi non è unicamente appannaggio di sensibilità artistiche o visionarie. Si tratta piuttosto di un processo in corso di svolgimento, i cui atti di progettazione stanno ormai in moltissimi convegni scientifici, meeting manageriali, documenti di varie istituzioni locali o sovranazionali, discussioni nei centri di ricerca e sviluppo. Assistiamo a una serie di fenomeni che hanno radici lontane ed elementi di assoluta novità. Da un lato siamo infatti posti di fronte alle eco marxiane dell’annullamento dello spazio per mezzo del tempo, a quella dissoluzione nell’aria di tutto ciò che è solido, delle quali si componeva la più serrata critica all’affermazione del sistema capitalistico – oggi divenuto sistema globale dal quale sembra impossibile qualsiasi uscita. Una condizione a-storica, dove si realizzerebbe finalmente la grande fantasia del rapporto sociale di capitale, ossia la sua completa autonomizzazione dal lavoro. Dall’altro lato la transizione di cui stiamo parlando, diffusamente nominata come 4.0, fa leva su un insieme di tecniche e tecnologie, su condizioni sociali lato sensu produttive, che ne configurano effettivamente tratti di novità storica. E sta emergendo in maniera significativa soprattutto negli ultimi anni come possibile traiettoria di “uscita” dalla crisi globale del 2007-2008. Eppure lo scenario finora dipinto non costituisce né un esito pre-determinato inscritto nel proprio ipotetico sviluppo né tantomeno manca di innumerevoli zone d’ombra. Durante il decennio seguito alla crisi economica sono infatti emersi una sequenza di episodi e processi, paralleli e consustanziali, che conducono a una complessiva riscrittura della narrazione esposta in apertura. Ai tempi ultra-veloci della finanza fa sempre da compendio il tempo lento della fatica, del lavoro. Alla creazione di grandi polarità urbane veloci e “intelligenti” si accompagna la proliferazione di periferie e baraccopoli, bacini di mano d’opera formale e informale sempre più spesso migrante e senza alcun diritto, messa a lavoro 24 ore su 24 come nella Dubai descritta da Mike Davis come «il capitalismo con gli steroidi» (Fear and Money in Dubay, «New Left Review«, n. 41, 2006). Al progredire dell’interconnessione globale nell’info-sfera telematica e digitale fa da sottofondo una logica di crescente espulsione di soggetti sociali che divengono lo “scarto” del processo, come sostiene Saskia Sassen (Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale, il Mulino, 2015, Ia ed. Cambridge, 2014). Alla facciata di un libero mercato della concorrenza globale si contrappone l’emergere di potentissimi monopoli, da Google ad Amazon, con inedite concentrazioni di potere e quasi inafferrabili forme di estrazione di valore (si veda in proposito Lo Spettacolo tra nuovi media e valorizzazione di Raffaele Sciortino e Steve Wright: https://www.infoaut.org/segnalazioni/lo-spettacolo-tra-nuovi-media-e-valorizzazione). Ad ogni grande progetto infrastrutturale sovra-nazionale corrisponde l’espropriazione di comunità locali, come si è visto, per rimanere al caso italiano, con la vicenda Tav in Val di Susa o con il Tap nel leccese. E la metafora dei flussi che ha a lungo ammaliato fette di immaginario si mostra insostenibile una volta affiancata alla costante proliferazione di nuovi confini, vere e proprie “basi” attraverso le quali i flussi possono muoversi.

Dalla sovrapposizione dei due strati di realtà che abbiamo appena tratteggiato si ricava una configurazione complessa e contraddittoria, fatta di mutazioni estensive e intensive, polarizzazione e frammentazione, iper-modernismi e arcaicità. Un passaggio storico, nel quale siamo inseriti, che richiede dunque la ricerca e la messa a punto di nuovi strumenti euristici ed ermeneutici, l’adozione di metodologie sperimentali, il tentativo di assumere punti di vista in grado di scovare dinamiche altrimenti nascoste – conducendo verso l’elaborazione di nuove ipotesi e tentativi interpretativi. È in questa direzione che il presente numero di «Zapruder» è stato pensato. Esso si propone di cercare attraverso la logistica una chiave di accesso per strutturare una postura critica sul presente. Questo progetto nasce da una serie di elementi. In primo luogo lo spunto sulla logistica ci è derivato dal processo di lotte e scioperi che, da ormai un decennio, stanno attraversando il settore della movimentazione delle merci nella megalopoli padana, grazie alla mobilitazione di migliaia di lavoratori per lo più migranti, sostenuti dai sindacati di base Si Cobas e Adl Cobas e da numerosi centri sociali (Niccolò Cuppini, Mattia Frapporti e Maurilio Pirone, Logistics Struggles in the Po Valley Region: Territorial Transformations and Processes of Antagonistic Subjectivation, «The South Atlantic Quarterly», vol. 114, n. 1, 2015, pp. 119-134; Carlotta Benvegnù e N. Cuppini, Spettri del lavoro. Le lotte della logistica nella megalopoli padana, NapoliMonitor, 2016, http://napolimonitor.it/spettri-del-lavoro-le-lotte-logistiche-nella-megalopoli-padana/). Questo grande hub territoriale per la circolazione che connette il Mediterraneo al sub-continente europeo è stato frequentemente bloccato da una coraggiosa forza lavoro non in modo isolato, ma all’interno di un panorama globale che ha visto muoversi in simultanea, pur in assenza di forme organizzative coordinate, numerosi punti cardinali del sistema logistico (Jake Alimahomed-Wilson e Immanuel Ness (a cura di), Chocke Points. Logistics Workers Disrupting the Global Supply Chain, Pluto Press, 2018) – e più in generale si colloca all’interno del paradigma che Joshua Clover nomina come “circulation struggles” (Riot. Strike. Riot, Verso, 2016). 
A partire da questi spunti si sono creati svariati momenti di incontro e confronto (ad esempio si veda il report di uno di questi: M. Frapporti, Investigating Logistics. Institute for European Ethnology della Humboldt-Universität di Berlino 19-30 settembre 2016, «Scienza&Politica», vol. XXVIII, n. 55, 2016, pp. 241-246), nei quali abbiamo assistito all’emergere di un campo di studi critici sulla logistica a livello globale (ancora poco noto in Italia se non per il contributo di Giorgio Grappi, Logistica, Ediesse, 2016). Questo filone si nutre di prospettive variegate ed eterogenee che beneficiano della contaminazione tra analisi strettamente accademiche e lavori più specificamente politici. Particolarmente fecondi per queste produzioni sono stati gli anni 2009-2014, quando un florilegio di pubblicazioni ha caratterizzato la scena internazionale in senso critico e multidisciplinare, mentre fino ad allora gli studi logistici erano per lo più confinati al campo manageriale e ingegneristico. Per citare soltanto le più significative, basti pensare ad esempio al lavoro di Anna Tsing a proposito del capitalismo delle supply chain (Supply Chains and the Human Condition, «Rethinking Marxism», vol. 21, n. 2, 2009, pp. 148–176), o all’articolo di Brett Neilson sulla «forza politica» della logistica (Five Theses on Understanding Logistics as Power, «Distinktion: Scandinavian Journal of Social Theory», vol. 13, n. 3, 2012, pp. 323–340). A stretto giro sono seguiti i lavori a quattro mani di Neilson e Sandro Mezzadra dove è evidenziato come il ruolo della logistica, della finanza e dell’estrattivismo (inteso in senso ampio, come estrazione dalle materie prime ma anche del valore dalle relazioni sociali) siano centrali all’analisi di come opera il capitale contemporaneo (Extraction, logistics, finance. Global crisis and the politics of operations, «Radical Philosophy», n. 178, 2013, pp. 8-18). A proposito di spazi inediti (logistici), va infine ricordato in questa breve e parziale panoramica, il libro di Deborah Cowen The Deadly Life of Logistics. Mapping Violence in Global Trade (Minnesota UP, 2014), che forse più di tutti gli altri ha contribuito allo sviluppo degli studi logistici critici su scala globale. Insomma, possiamo dire che, se a un primo sguardo la logistica potrebbe richiamare “solo” il settore della movimentazione delle merci, in realtà essa si presenta come una più generale logica di funzionamento che, assieme ad altre, mette in forma l’economia politica contemporanea (per ulteriori spunti bibliografici si veda la recensione multipla di Alessandro Peregalli in questo numero).

Questo monografico «Zapruder» riteniamo sia uno specchio fedele del dibattito e delle prospettive attualmente in campo rispetto alla logistica, e ci auguriamo possa essere una voce, tra le altre presenti e che verranno, in grado di stimolare ulteriormente ricerche sul tema, in campo sia scientifico che politico. È un numero che raccoglie contributi di provenienza accademica come militante, muovendosi talvolta sul bordo tra le due sfere, e che prova a connettere e valorizzare sia il dibattito internazionale che quello italiano. In questo senso nella rubrica Voci si può trovare sia un tentativo di dotare gli studi logistici di un impianto storico-filosofico come fa Stefano Harney, sia il ripercorrere da parte di Sergio Bologna alcune delle tappe fondamentali attraverso le quali, alcuni decenni or sono, la matrice di pensiero operaista aveva letto, con significativa carica anticipatrice, la crescente strategicità del settore dei trasporti nelle nuove configurazioni capitalistiche. Inoltre un filone comune che attraversa i contributi è quello dell’adozione della logistica in senso ampio, mostrando come i suoi lessici e immaginari contribuiscano a strutturare campi politico-discorsivi all’apparenza slegati. È quanto evidenziano Manuela Bojadžijev e Sandro Mezzadra, proponendo un’area di ricerca che muove dalla constatazione di come il controllo delle migrazioni si orienti sempre più attraverso ordini discorsivi tratti dal management logistico. Ma anche i tre Zoom che strutturano questo numero vanno nella medesima direzione. Giorgio Grappi e Michele Mastandrea, per esempio, discutono di due dei più grandi “sogni logistici” infrastrutturali in corso di realizzazione: da un lato le nuove ferrovie super veloci Hyperloop, che superando la performance degli aerei dovrebbero aprire una nuova era del trasporto; dall’altro la cosiddetta “Nuova via della seta”, ossia le rotte di terra e di mare che dovrebbero o stanno già congiungendo la Cina con l’Europa.

La logistica è dunque un punto di vista produttivo proprio per la sua poliedricità, un caleidoscopio che dai grandi progetti di infrastrutturazione globale – siano essi agiti da aggregazioni di privati e multinazionali o da potenze statuali – arriva a ristrutturare i tessuti urbani e le più piccole mansioni e dinamiche di lavoro quotidiane. È quanto fanno qui vedere, rispetto alla città, gli interventi di Luca Bertocci e, seppur in forma anomala, quello di Ermanno Castanò su Bookchin, l’autore libertario municipalista che ha intrattenuto un dialogo importante con il leader curdo del Pkk Abdullah Öcalan per giungere alla prospettiva politica del confederalismo democratico. Ma anche l’esperienza del portare nelle aule scolastiche la logistica riportata da Sandro Pellicciotta. Sul fronte di un luogo “classico” della logistica e delle sue attuali trasformazioni si direziona invece il contributo di Andrea Bottalico rispetto al porto di Genova. Relativamente ai Luoghi della logistica, suggestivo è anche il testo di Francesco Marullo e in particolare l’approfondimento sul murales di Diego Rivera che fa da sfondo a una vecchia fabbrica del distretto di Detroit. L’articolo di Carlotta Benvegnù si pone trasversalmente a tutti questi nodi: partendo da uno studio etnografico all’interno dei magazzini logistici della conurbazione del Grand Paris mette in luce sia le strategie di messa al lavoro e di ricerca di mano d’opera nei quartieri popolari sia l’immediato impatto urbano che producono questi processi, contribuendo alla “metropolizzazione” di sempre più ampie fasce di territorio. D’altra parte il terzo Zoom, di Maurilio Pirone, indica una delle frontiere più recenti dell’espansione logistica, la cosiddetta “nuova logistica metropolitana” della consegna-merci a domicilio, esplosa in Europa negli ultimi due, tre anni. I cosiddetti rider, i lavoratori delle piattaforme online che organizzano questo servizio, sono emblematici delle attuali frontiere di mutazione capitalistica. Organizzati via WhatsApp, gestiti da algoritmi, si muovono su città ridotte alle mappe di Google, lavorano soprattutto a cottimo (a consegna) e sono “proprietari” dei loro strumenti di lavoro (biciclette, motorini e smartphone) come gli antichi artigiani. Ancora una volta, si trovano assemblati arcaismi e nuove tecnologie, come avviene in sempre più settori (si veda in proposito “Lavoro e non lavoro. Teorie, cronache e stralci d’inchiesta”: https://www.infoaut.org/precariato-sociale/ebook-lavoro-e-non-lavoro-teorie-cronache-e-stralci-di-inchiesta – e C. Benvegnù e Francesco Iannuzzi (a cura di), Figure del lavoro contemporaneo, Ombrecorte, 2018). Ma anche in questo contesto gli sviluppi sono segnati da forme di insubordinazione, come, su un altro piano, è successo per la TAV, su cui si focalizza la recensione di Rossi ad alcune recenti pubblicazioni sul tema. A queste lotte si legano, all’interno del numero, riflessioni che approfondiscono invece la già menzionata processualità conflittuale nel settore più “classico” della logistica, quello della movimentazione merci nei magazzini, grazie al resoconto di lavori in corso come quelli di Gabriella Cioce e di Francesco Massimo, i quali dimostrano la vitalità del campo della logistica e dei suoi attriti come terreno di ricerca emergente. Infine l’intervento di Fulvio Massarelli, che dopo aver pubblicato una delle prime inchieste a caldo sul tema (Scarichiamo i padroni, AgenziaX, 2014) propone qui una valutazione politica sulle lotte nella logistica, che si pone in dialogo diretto con il racconto fotografico di Michele Lapini sui conflitti nella logistica a Bologna. Vogliamo confessare in chiusura una lacuna di questo lavoro. La maggior parte degli scritti si muovono entro una prospettiva calibrata sugli ultimi cinquant’anni, a partire cioè da quando la diffusione del container e di altre tecnologie adatte all’intermodalizzazione dei trasporti (si veda in proposito lo scritto di Andrea Giuntini) ha dato vita a quella che sempre più diffusamente è assunta come la logistics revolution. Vale la pena allora di sottolineare come sia convinzione di chi scrive che la logistica e la sua centralità nel sistema capitalista abbia tutt’altro che una storia recente: una sfida storiografica che meriterebbe davvero di essere accolta in profondità per acquisire gli strumenti necessari alla comprensione che ci impongono le sempre più numerose transizioni del presente. In merito, il “Manifesto di critica logistica” del gruppo di ricerca Into the Black Box qui pubblicato propone alcune ipotesi e interpretazioni che vanno in questa direzione: a partire da un rovesciamento della prospettiva corrente, definisce come “contro-rivoluzione” logistica quella avvenuta a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta e posiziona il discorso in un processo di lunga durata. Le “genealogie della logistica” si installano d’altronde da sempre su dimensioni globali e intrecciano una specifica produzione di forza-lavoro con le mutazioni delle forme della guerra e dei sistemi politici. Portarle alla luce può anche essere un importante contributo per meglio comprendere l’attuale complessivo sconvolgimento delle culture politiche che di fronte all’imporsi della mobilità come paradigma della contemporaneità tendono a reagire mettendo in campo nuovi schemi basati sulla contrapposizione tra globalismo e sovranismo. Una prospettiva che invece adotti criticamente uno “sguardo logistico” può contribuire a pensare congiuntamente la mobilità e lo stare, quello che si muove assieme a ciò che sta fermo, nonché guardare al chi si muove e a chi sta fermo, dunque al contempo ai territori e alle interconnessioni planetarie. Ciò consente di mettere in controluce e a disamina critica le immagini prevalenti di un incremento neoliberale dei flussi o di un ritorno ai confini, in favore di una visione strutturata a partire dal soggiacente conflitto storico tra lavoro e capitale.

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