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La «rivoluzione» produttiva che attraversa l’economia globale e la sue radici coloniali

Un Mondo Logistico: Sguardi critici su lavoro, migrazioni, politica e globalizzazione è il titolo di un testo importante curato per Ledizioni di Milano (pp. 149, euro 14) da Niccolò Cuppini, ricercatore presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana, e Irene Peano, antropologa attualmente ricercatrice presso l’Istituto di Scienze Sociali dell’Università di Lisbona.

I CONTRIBUTI RACCOLTI sono stati scritti da alcuni dei principali conoscitori critici del mondo della logistica e dei suoi molteplici legami con le migrazioni, i conflitti sociali e il farsi mondo del mercato e dei rapporti di produzione capitalistici. Deborah Cowen, Anna Tsing, Sandro Mezzadra, Mattia Frapporti, Maurilio Pirone, insieme ai curatori – e con la postfazione di Brett Neilson e Giorgio Grappi -, ci restituiscono connessioni e relazioni di forza troppo spesso non viste, anche in molte aree degli studi e delle analisi critiche (specie in Italia, nonostante il notevole contributo dato al tema da studiosi come Sergio Bologna), che non riescono a riconoscere quanto ormai la logistica sia parte costitutiva del «segreto laboratorio della produzione» richiamato da Marx ne Il Capitale. Eppure, nel caso italiano, è proprio la logistica l’area in cui maggiormente il conflitto sindacale si è dispiegato negli ultimi anni, attraverso blocchi, picchetti e scioperi che hanno dato grandi risultati in termini di vittorie e miglioramenti salariali e contrattuali, passando anche per tragedie come l’uccisione di Abd el-Salam el-Danaf avvenuta il 14 Settembre 2016 durante un picchetto davanti alla Gls a Piacenza.

L’organizzazione in supply chain, cioè attraverso catene di distribuzione, è ormai di tipo globale e collega, influenzandole in maniera inedita, tutte le fasi del ciclo di vita di quasi ogni merce e delle sue componenti, dall’ideazione al consumo (e, in molti casi, al riciclo e riutilizzo), agendo anche sul lavoro vivo: sulle sue modalità di erogazione, sulla sua composizione, sulla sua mobilità e sulla sua riproduzione, come sottolineato nel testo di Mezzadra.

SI PENSI, ad esempio, a quanto l’agricoltura sia ormai incomprensibile se si guarda solo a ciò che accade nei campi, sotto le serre o negli allevamenti e si tralascia l’intera filiera, della quale ogni coltura è espressione: dalla genetica dei semi fino alla sua gestione come rifiuto. E si pensi a quanto tutto ciò è in connessione con l’intera attività di riproduzione sociale, che, come evidenzia il capitolo di Irene Peano, è oggetto, nel caso del lavoro migrante in agricoltura, di un processo di esternalizzazione, investendo «tutte quelle pratiche e relazioni connesse non solo alla gestazione, al parto e alla cura dei figli, ma anche al lavoro di cura (…), incluse le sue dimensioni sessuali/affettive»,oltre che la solidarietà che interviene “quando i salari e i servizi istituzionali sono insufficienti”.
È la «rivoluzione logistica» ad avere permesso la diffusione di questo tipo di capitalismo integrato su scala globale, che ha influenzato sia l’integrazione europea, come osservato nel capitolo di Frapporti, sia la nuova dimensione metropolitana, come studiato da Pirone: una rivoluzione che rende la logistica la lente «attraverso cui indagare le operazioni del capitalismo contemporaneo», compresi, allo stesso tempo, i conflitti che dentro tali operazioni si determinano.

UNA RIVOLUZIONE che mostra quanto il riferimento alla sola dimensione territoriale e nazionale sia del tutto incapace di comprendere le trasformazioni intervenute negli ultimi trent’anni nell’organizzazione produttiva e nei rapporti sociali, senza pensare, però, che questo significhi una scomparsa dello Stato. Come scrivono Grappi e Neilson, non vi è una «una secca alternativa tra una dimensione statale della sovranità e una legata al potere delle catene produttive globali», perché queste ultime sono «costantemente precedute, affiancate o sostenute dalla sovranità statale».

Quella della logistica è una rivoluzione che ridefinisce i rapporti di forza a vari livelli e che, storicamente, viene da lontano. Ed infatti, uno degli aspetti più rilevanti e innovativi del libro è quello di individuare una periodizzazione di tale rivoluzione che trova le sue origini nelle piantagioni, come ricostruito nel contributo di Tsing, e nella scienza militare che si è sviluppata tra Settecento e Ottocento, come posto in rilievo da Deborah Cowen nell’intervista con i curatori. Si evidenzia, dunque, come, anche e sempre più attraverso la logistica, l’eredità coloniale e imperiale continua a produrre effetti di lungo periodo negli affari, nel governo e nelle tecnologie al livello del sistema-mondo, dunque nei rapporti di potere oggi vigenti sia in ambito geopolitico sia in ambito produttivo.


L’articolo è stato pubblicato inizialmente su Il Manifesto del 26 ottobre 2019 ed è disponibile qui.

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