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Massacro nel sud del Messico: si avvicina il corridoio transoceanico

Lo scorso 21 giugno 15 persone della comunità di San Mateo del Mar, nello Stato di Oaxaca (Messico), sono state uccise a colpi di arma da fuoco, pietre e machete. Un crimine atroce che ha colpito una comunità di 15mila abitanti appartenenti al popolo Ikoot, una popolazione millenaria di pescatori e ricamatrici, che parla la lingua originaria huave e dove la vita sociale si organizza attorno alla propria cosmovisione e a una forma di governo autonomo che si esprime attraverso l’assemblea e il lavoro comunitario. Le vittime erano dirette proprio verso un’assemblea, nella vicina Huazantlán, dove si sarebbe discusso il problema delle barriere anti-Covid imposte in modo arbitrario e discriminatorio dal sindaco Bernardino Ponce Hijonosa, un imprenditore edile eletto al di fuori degli ‘usi e costumi’ Ikoot e per cui non riconosciuto dalla comunità.

Il presidente Obrador ha minimizzato l’accaduto parlando di “violenza tra comunità” cercando così di contestualizzare il massacro all’interno delle tensioni post-elettorali che in alcuni casi si creano nei territori indigeni. Una leggerezza che ricorda le parole di un suo predecessore, l’ex presidente Zedillo, che in seguito alla strage di Acteal (Chiapas) del 1997, in cui un gruppo di paramilitari uccise 45 persone di etnia Tzotzil del gruppo Las Abejas, descrisse l’accaduto parlando di un conflitto inter-etnico. Le indagini successive fecero invece luce sul ruolo dell’esercito messicano nell’orchestrare l’attacco armato e destabilizzare la regione.

Anche in questo caso le cause della mattanza sembrano andare ben oltre le spiegazioni semplicistiche e discriminatorie implicitamente riferite a una sorta di “normalità violenta” che le autorità statali attribuiscono ai popoli originari del Messico meridionale. Gli attivisti della regione denunciano che quanto successo sia stato invece il frutto di conflitti con gruppi di interesse esterni alla comunità e che hanno una storia ben più lunga e complessa.

Per capire l’importanza strategica di San Mateo del Mar occorre partire dalla sua ubicazione geografica. San Mateo è un municipio dello stato di Oaxaca, uno degli stati più poveri del Messico e anche quello dove vive la popolazione indigena più amplia del Paese e che registra una storia di resistenza e organizzazione autonoma molto combattiva. Inoltre il municipio di San Mateo del Mar si trova nell’istmo di Tehuantepec che a sua volta occupa una posizione cruciale nella geopolitica del continente. Trovandosi nel punto più stretto del territorio messicano l’istmo è stato individuato fin dal 1500, da Hernán Cortés, come la regione in cui costruire un canale in grado di collegare l’oceano Pacifico con l’Atlantico. La tentazione di creare una rotta del commercio mondiale attraverso l’Istmo ha continuato a caratterizzare i diversi poteri coloniali che hanno influito sullo sviluppo economico messicano nei secoli a seguire. Imprese britanniche, francesi e statunitensi hanno cercato di accaparrarsi il dominio dell’Istmo e i diritti per la costruzione di una tratta ferroviaria che lo collegasse al Golfo del Messico. Nel XIX secolo la Lousiana Tehuantepec di New Orleans prima, e la Pearson and Sons di Londra poi, riuscirono a costruire la tanto ambita tratta ferroviaria trans-oceanica, la quale però cadde presto in disuso a causa dell’instabilità politica del periodo rivoluzionario e della concorrenza del nuovo canale di Panama. Nel frattempo, però, l’impresa britannica che doveva occuparsi della manutenzione della linea ferroviaria scoprì dei giacimenti di petrolio nell’Istmo e diede inizio a una nuova fase di sfruttamento della regione basata sull’industria petrolifera e petrolchimica. A Salina Cruz, città portuale dell’istmo di Tehuantepec, funziona oggi la raffineria più grande del Paese.

Negli anni Duemila diversi stati centroamericani e del sud del Messico hanno aderito al Piano Puebla Panama, un accordo politico ed economico per la gestione di grandi opere orientate all’estrazione ed esportazione di materie prime in tutta l’America Centrale. Inutile dire che Tehuantepec venne incluso nelle zone strategiche in cui implementare infrastrutture “inter-oceaniche”. Nel frattempo anche il capitalismo verde ha messo gli occhi su questo territorio che fa parte dell’ecosistema mesoamericano che contiene più del 30% della biodiversità mondiale, dove la fauna e la flora del Sud America e Nord America si incontrano; una terra ricca di acqua, boschi e foreste tropicali e con il sistema di acque lagunari più grande della costa. Anche l’aria dell’istmo è diventata una merce ambita a livello internazionale, infatti Tehuantepec è la terza zona a livello mondiale per potenziale di produzione di energia eolica e la prima a livello nazionale. Negli ultimi anni le multinazionali dell’eolico (tra cui Enel Green Power) hanno fatto a gara per occupare i territori dell’istmo a prezzi stracciati (100 pesos per ettaro l’anno, meno di 5 euro), impiantare le loro turbine eoliche e, come se non bastasse, generare aumenti delle bollette dell’elettricità insostenibili per le popolazioni locali.

Mappa della zona dell’istmo, (Mario Fuente)

L’attuale presidente in carica, Andrés Manuel Lopéz Obrador, si è presentato come il promotore della cosiddetta quarta trasformazione, un cambiamento della società che vuole lasciarsi alle spalle la violenza e la corruzione degli ultimi decenni e garantire lo sviluppo delle regioni più povere del paese. Nel sud del Messico, ma non solo, questa missione viene declinata attraverso i mega-progetti: grandi opere che hanno l’obiettivo di urbanizzare le zone rurali del Paese, estrarre materie prime e produrre energie a basso costo e favorire il turismo e il commercio internazionale. Un programma politico che viene presentato come un passo necessario verso il “progresso”, o quello che il Fondo Nazionale di Promozione del Turismo ha definito “etno-sviluppo”, ma che viene osteggiato da diverse organizzazioni politiche che lo interpretano come la continuazione di un progetto coloniale che vuole imporre un modello di sfruttamento capitalista in quelle regioni dove le comunità indigene e contadine resistono da secoli agli interessi dello Stato e delle imprese. Uno dei cavalli di battaglia del neo-presidente è proprio la costruzione del corridoio trans-oceanico e del progetto di sviluppo dell’istmo di Tehuantepec. A questo mega-progetto si collega quello del Tren Maya e decine di altre infrastrutture che vengono denunciate dalle organizzazioni indigene come progetti dannosi per l’ambiente, il tessuto sociale e la sopravvivenza stessa dei popoli originari.

L’autonomia delle comunità indigene sembra essere la merce di scambio che Obrador ha deciso di sacrificare per portare a termine il suo progetto “progressista”. Insieme alle popolazioni originarie, a fare le spese della “quarta distruzione”, come la chiamano molti attivisti indigeni, è la popolazione migrante diretta verso gli Stati Uniti. Sotto pressione della presidenza Trump, infatti, il Messico ha inasprito i controlli alla frontiera con il Guatemala e si è reso complice di deportazioni dei richiedenti asilo in Centroamerica, trasformandosi così da Paese di transito a nuovo pattugliatore delle frontiere. La cintura urbana che si pensa di costruire proprio grazie al corridoio trans-oceanico, e agli altri mega-progetti, servirà anche a contenere i flussi migratori prima che possano avvicinarsi ai confini statunitensi e allo stesso tempo utilizzare la mano d’opera migrante nella costruzione di queste grandi opere.

Nonostante una retorica di rottura con il passato, Obrador sta portando avanti il sogno del Capitale internazionale che da sempre vede nel Messico meridionale una tavola apparecchiata per le grandi imprese e le industrie estrattive. Il suo governo sta raggiungendo questo obiettivo grazie all’ampio consenso di cui gode tra la popolazione e all’utilizzo machiavellico delle consultazioni locali. Le consultas sono dei referendum promossi nelle comunità con il fine di legittimare i mega-progetti davanti all’opinione pubblica. Questi eventi elettorali vengono in molti casi boicottati dalle organizzazioni indigene che si rifanno alla legislazione internazionale per sottolinearne la mancanza di legittimità. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT) infatti, lo Stato messicano è obbligato a rispettare la decisione delle comunità indigene interessate dalla costruzione di nuovi progetti, decisione che deve esprimersi attraverso consultas libere, trasparenti e soprattutto coordinate dalle istituzioni proprie dei popoli originari. Queste condizioni sono pressoché impossibili da rispettare in Messico, dove le comunità indigene sono considerate “entità di interesse pubblico” invece che “soggetti di diritto”, e a maggior ragione nello stato Oaxaca, dove decenni di repressione violenta hanno disintegrato importanti istituzioni comunitarie, come nel caso dell’assemblea comunitaria di Juchitàn, che oggi dovrebbero garantire la legittimità delle consultas. 

Nonostante il contesto tutt’altro che favorevole, l’assemblea di San Mateo del Mar è riuscita a mantenersi compatta ed evitare che i suoi territori venissero occupati dalle multinazionali dell’energia pulita. La resistenza del popolo Ikoot contro l’installazione di imprese eoliche, nel 2012 e 2013, è diventata un esempio importante per la lotta contro i mega-progetti della regione e allo stesso tempo è entrata nel mirino dei poteri politici ed economici interessati ad alimentare le tensioni interne e indebolire i legami comunitari che regolano la vita nella zona. Nel 2017 l’Istituto Elettorale di Oaxaca ha imposto le elezioni comunali a San Mateo del Mar ignorando l’esistenza dell’assemblea municipale che rappresenta il dispositivo di governo ancestrale. Nel 2019 vince le elezioni municipali l’attuale sindaco, Bernardino Ponce Hijonosa, appoggiato da un altro imprenditore edile, dirigente sindacale e funzionario politico già accusato in passato di violenza nei territori Ikoot, Jorge Leoncio Arroyo Rodríguez. Non sono mancate le accuse di frode elettorale e i tentativi di corruzione per cercare di dividere la comunità che non è riuscita a bloccare le elezioni. I conflitti tra l’assemblea comunitaria e il gruppo di potere rappresentato dal sindaco si sono esacerbati e hanno generato tensioni all’interno della stessa comunità. Ben prima che il massacro di giugno si verificasse la comunità di San Mateo del Mar aveva denunciato casi di violenza al governo federale e ai garanti dei diritti umani senza ricevere risposte dalle istituzioni. Alcuni testimoni raccontano che il giorno in cui si è consumato il feroce attacco la Guardia Nazionale ha abbandonato il luogo della violenza tornando solo in un secondo momento per raccogliere i cadaveri carbonizzati.

Secondo Mario Quintero, integrante dell’Assemblea dei Popoli Indigeni dell’Istmo Oaxaqueño in Difesa della Terra e del Territorio (APIIDTT), “quel che è successo, squartare e bruciare i corpi, spaccare le teste, sono pratiche che abbiamo già visto nel nord del Paese o in zone dove sono presenti i narcos. Per San Mateo è stato un colpo durissimo perché è un luogo dove non c’era violenza, è un piccolo paesino dove al massimo ci sono litigi tra famiglie. Bisogna inoltre pensare che le comunità nella zona sono abbandonate, lo Stato non arriva nemmeno per garantire i servizi di base. Questo tipo di violenza è stato usato per mettere paura alla comunità, solo così lo Stato e le imprese ci sono riuscite. La paura e i conflitti interni sono un terreno fertile per i mega-progetti e gli interessi esterni. Per noi è preoccupante perché mostra un chiaro piano di destabilizzazione regionale che è cominciato già da anni, la violenza sta crescendo e ci sono molti omicidi soprattutto nelle zone in cui deve passare il corridoio interoceanico”.

Nel frattempo la crisi del Covid-19 sta esplodendo anche nello stato di Oaxaca, saturando le strutture ospedaliere e aggiungendosi ai danni portati dal sisma dello scorso mese. Proprio la situazione emergenziale sembra essere un’opportunità per spingere sull’acceleratore dei diversi progetti estrattivi, non è un caso che l’estrazione mineraria sia stata inserita nelle attività essenziali che sono state riattivate dal governo messicano. Allo stesso modo nuove consultas sono state promosse nonostante la pandemia così come i procedimenti burocratici riguardanti il Tren Maya non sembrano essersi mai fermati. La crisi sanitaria sta mettendo a dura prova l’economia capitalista globale che ha bisogno di nuovi canali commerciali e di speculazione, come la costruzione del corridoio trans-oceanico, per continuare a espandersi. L’incontro di Obrador con il suo omologo statunitense Trump sembra andare in questa direzione con l’accordo T-MEC che di fatto rinnova il trattato di libero commercio (NAFTA), tra Messico, Stati Uniti e Canada, che 26 anni fa spalancò le frontiere messicane al neoliberismo e ispirò la sollevazione zapatista dei popoli indigeni in Chiapas.


L’articolo è apparso originariamente sul sito del blog l’America Latina ed è consultabile qui.

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