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Navi da crociera, portacontainer e la crisi del COVID-19: la prospettiva di una grande quiete sull’oceano?

Presto ci saranno vaste flottiglie di navi vuote – navi cargo per grano, minerali o automobili, petroliere, portacontainer – ancorate al largo dei principali porti del mondo, cullate in alto mare, senza niente da trainare e senza un posto dove andare. E questo produrrà un evento più unico che raro nella storia. L’oceano potrebbe essere virtualmente libero dall’attività umana per un po’ di tempo, e non c’è modo di sapere quanto potrebbe durare.


I visitatori di San Francisco che arrivano via mare si imbattono in un vero spettacolo. La loro nave si avvicina al Marin Headlands, scivola attraverso lo stretto passaggio chiamato Golden Gate, scorre sotto l’iconico ponte ed entra nella baia. Più di ottanta navi da crociera visitano ogni anno il porto di San Francisco, trasportando oltre 300.000 passeggeri e un numero incalcolabile di membri dell’equipaggio. Ma il traffico delle navi da crociera a San Francisco – e del resto, in ogni porto degli Stati Uniti – può anche fermarsi a causa di un’unica nave, la Grand Princess, arrivata al Golden Gate con a bordo il nuovo virus Corona, causa della malattia potenzialmente letale indicata come COVID-19. L’agente patogeno altamente contagioso si era diffuso sulla nave durante il suo precedente viaggio in acque messicane, infettando un passeggero morto di COVID-19 dopo il ritorno a casa. Il virus ha poi resistito a bordo della Grand Princess, per riemergere nel suo viaggio successivo quando decine di persone hanno mostrato i sintomi mentre la nave si apprestava a concludere un nuovo viaggio in Messico. Prima venne la Diamond Princess, che introdusse la malattia in Giappone il 4 febbraio, attraccando al porto di Yokohama e diventando un micro-cluster di contagio. Dopo settimane di misure di quarantena improvvisate e inefficaci, la nave sbarcò circa 3.600 tra passeggeri ed equipaggio, molti dei quali potenziali portatori di Coronavirus vista la sostanziale assenza di test effettuati.

Un mese dopo fu il turno della Grand Princess, che trasportava 3.533 passeggeri, 2.422 ospiti e 1.111 membri dell’equipaggio, provenienti da cinquantaquattro nazioni. La notizia giunta alla nave il 2 marzo, annunciava che un passeggero precedente era risultato positivo al COVID-19 prima di morire. Princess Cruises annullò il resto dell’itinerario della nave e ordinò alla Grand Princess di tornare a San Francisco, il suo porto d’imbarco. Lungo il percorso di ritorno, il 5 marzo, gli elicotteri della Guardia Costiera lanciarono kit per tampone sul ponte. La notte successiva, il vicepresidente Mike Pence riferì che quarantasei passeggeri che presentavano sintomi erano stati “tamponati” e ventuno di loro erano risultati positivi. Il totale comprendeva due “ospiti” (che alloggiavano in suite private), e diciannove membri dell’equipaggio (che vivevano, lavoravano e respiravano, a volte tossivano e starnutivano, e occasionalmente vomitavano, in ambienti molto vicini, sotto la linea di galleggiamento della nave). I test positivi imposero lo stop della nave poco prima della sua destinazione: cullata dalle onde a circa cinquanta miglia dal Golden Gate, la Grand Princess attendeva il suo destino, soffrendo i claustrofobici inconvenienti delle misure di quarantena tardivamente istituite. Dopo un dibattito pubblico sulla sua sorte, in cui il Presidente si espresse a favore della permanenza in mare a tempo indeterminato, il 9 marzo le fu infine permesso l’attracco. Tuttavia, la fine di quel viaggio decisamente sfortunato non avvenne nello storico molo poggiato sul bel lungomare di San Francisco, adattato come “terminal per navi da crociera”, con tutti i suoi servizi. Accadde infatti che la nave fu diretta verso il “terminal container” dall’altra parte della baia, sull’arido lungomare industriale di Oakland/Alameda. I passeggeri sbarcarono in quarantena nelle basi militari in California, Texas e Georgia, mentre ai canadesi fu permesso il rientro a casa in aereo dove scontare le due settimane di isolamento preventivo. I membri dell’equipaggio, tuttavia, furono costretti a rimanere a bordo. I telegiornali seguirono la Grand Princess nel suo passaggio all’alba attraverso lo spettacolare Golden Gate. La nave stessa sembrava costruita con lamiere d’oro puro, illuminata dai bassi raggi della luce orientale. Ma poi la scena divenne insolita. Stacco. Immagini senza precedenti. La Grand Princess, una nuovissima “mega nave”, simbolo della spettacolare ascesa dei viaggi in crociera, attraccava in un vasto cantiere navale che mancava completamente delle infrastrutture per accoglierla. Ancor più strano, il cantiere stesso, il complesso tentacolare di Oakland/Alameda, uno dei più trafficati al mondo, era vuoto!

Che succede ora? Ci sono 314 navi da crociera a solcare le onde del mondo, tutte dirette verso qualche porto di scalo, ognuna delle quali è un possibile vettore di COVID-19. La carneficina potenziale è simile a quella del 1918, quando 675.000 americani soccombettero all’Influenza Spagnola – cinquanta milioni di decessi in tutto il mondo, secondo stime prudenti. Sembra probabile che la diffusione del nuovo Coronavirus metterà in naftalina la flotta di navi da crociera per un periodo di tempo indefinito, mentre il mondo fronteggerà il virus. Mentre scrivo, Princess Cruises e Viking Cruise Line hanno entrambe annunciato la sospensione delle operazioni. Altri seguiranno, si può starne certi… A ben guardare in realtà, le dimensioni della flotta globale ha effettivamente un numero di navi da crociera ridotto. Basti dire che nel gennaio 2018 le navi mercantili in circolazione erano 53.732 di cui 5.500 erano enormi navi portacontainer: il rapporto è di 171 navi mercantili per ogni singola nave da crociera.

Mentre il tasso di produzione di manufatti e di estrazione di materie prime in Cina diminuisce, e mentre la gravità dell’epidemia di Coronavirus [oggi pandemia n.d.t.] aumenta, c’è sempre meno carico per questi scafi da trasportare in tutto il mondo. Già i moli di Los Angeles, Long Beach e Oakland/Alameda, solitamente iperattivi nello stoccaggio di carichi provenienti dall’Asia, sono diventati stranamente assonnati. Presto ci saranno vaste flottiglie di navi vuote – navi cargo per grano, minerali o automobili, petroliere, portacontainer – ancorate al largo dei principali porti del mondo, cullate in alto mare, senza niente da trainare e senza un posto dove andare.

E questo produrrà un evento più unico che raro nella storia. L’oceano potrebbe essere virtualmente libero dall’attività umana per un po’ di tempo, e non c’è modo di sapere quanto potrebbe durare. E allo stesso modo, risultano altresì poco prevedibili gli effetti che un simile evento potrebbe produrre. Dal punto di vista del capitalismo globale, i danni potrebbero essere devastanti e duraturi.

Eppure, altre priorità potrebbero emergere da questo colpo di scena del destino. In particolare, le perturbazioni portate dal Coronavirus potrebbero far riscoprire l’importanza di acquistare prodotti locali, di mangiare cibo regionale riducendo in questo modo l’enorme e unta impronta di carbone del commercio e del turismo globale. Un oceano vuoto non solo potrebbe bloccare la pandemia, ma potrebbe aiutare l’umanità a premere il pulsante di reset sullo status quo pericolosamente insostenibile dell’economia internazionale.


Questo articolo è sato pubblicato inzialmente sul blog della Duke University Press il 16 marzo 2020.


Eric Paul Roorda is the editor of The Ocean Reader: History, Culture, Politics. He is a Professor of History at Bellarmine University in Louisville, Kentucky, where he specializes in the diplomatic and naval history of  the Caribbean Sea.

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