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Scioperi e mobilitazione “invisibile” nella pandemia italiana

Pubblichiamo la traduzione del nostro contributo insieme a Officina Primo Maggio per l’eBook del Workers Inquiry Network Struggle in a Pandemic. Grazie a Ko.Vid per la traduzione.


Il progressivo manifestarsi dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di COVID-19 non si è svolto semplicemente nella forma di un insieme di misure dall’alto atte a contenerla. Al contrario, l’Italia ha sperimentato un’ondata piuttosto rilevante di lotte dentro e contro questo scenario radicalmente nuovo. Piuttosto che un cammino passivo verso “l’unità nazionale” per combattere il “nemico invisibile” di questa “nuova guerra” (usando il linguaggio del Governo e dei media), abbiamo visto forme eterogenee di rivolte nelle carceri, astensione di massa dal lavoro, scioperi, azioni di solidarietà, forme di protesta che hanno reso visibile come, anche durante una pandemia, le disuguaglianze e le ingiustizie giocano ancora un ruolo cruciale nel formare le nostre società contemporanee. In altre parole, l’”eccezione” rappresentata dall’irruzione del COVID-19 ha illuminato i modi “normali” in cui le persone sono gerarchizzate.

La divisione di classe è ora più manifesta che mai, così come lo sono i modi in cui il genere e la razza lavorano quotidianamente per accrescere le disuguaglianze. Potremmo dire che un insieme di contraddizioni sta diventando evidente e d’impatto nella percezione di massa. Prima tra tutte: lo scontro brutale tra salute e profitto e la differenza tra riproduzione sociale e riproduzione del capitale. La richiesta di sospendere la produzione – specialmente nelle regioni del nord Italia in cui il virus si è notevolmente diffuso – è stata duramente contrastata da Confindustria, ponendo a serio rischio milioni di lavoratori.

Correlata a queste contraddizioni, una costellazione di altri nodi sta emergendo. Giusto per dare un paio di esempi: diviene adesso emblematico l’effetto mortifero dell’approccio politico neoliberale e di circa dieci anni di misure di austerità in termini di tagli e privatizzazioni del sistema sanitario pubblico; la nozione di «essenzialità» è alla ribalta della discussione pubblica per definire quali tipi di lavoro debbano essere bloccati e quali no, definendo una nuova coscienza pubblica su quale sia il ruolo reale di alcuni lavori.

Un terzo livello analitico, in stretta relazione con l’ultima riflessione, dovrebbe prendere in considerazione i modi in cui le economie contemporanee sono organizzate e cosa ci dice di loro la crisi per COVID-19. L’idea di organizzare i processi di lavoro attraverso frammentazione, individualizzazione e sottosistemi gerarchici è al banco di prova per via della sua dubbia sostenibilità dal punto di vista del capitale. Uno degli elementi chiave del processo di produzione e distribuzione globale, la logistica, è passato negli ultimi dieci anni da un settore marginalizzato e invisibile ad essere strategico ed essenziale. La nuova logistica metropolitana, rappresentata da piattaforme come Amazon e app di delivery come Deliveroo, è diventata un’infrastruttura tipica della quotidianità. I lavoratori e le lavoratrici che operano consegne a domicilio, mansione che era fino a poco tempo fa definita «lavoretto» (gig) sono ora impiegati di un settore “essenziale” che deve lavorare anche durante una pandemia. I milioni di persone che ancora si recano ai loro posti di lavoro tutti i giorni ci ricordano di quanto una condizione tradizionale della classe lavoratrice è ancora cruciale per l’economia contemporanea, dimostrando come il capitale sia capace di integrare differenti forme di nuove e vecchie condizioni di lavoro e di sfruttamento. Infine, la de-strutturazione del mercato di lavoro degli ultimi decenni sta adesso manifestando i suoi violenti effetti. Centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici autonome con contratti precari o in mercati informali si ritrovano adesso senza stipendio.

Abbozzato questo quadro generale, ci concentriamo ora su alcune inchieste specifiche in corso, sulle quali stiamo lavorando durante questa crisi.

Logistica

Nella continua riformulazione degli ordini del premier Giuseppe Conte durante la crisi di COVID-19, la logistica è stata costantemente considerata come cruciale. Il decreto del 22 marzo (il così detto «Chiudi Italia») ha confermato i servizi di trasporti e di logistica come attività essenziali da mantenere aperte, non menzionando alcuna restrizione in termini di beni “essenziali” o meno. Nel frattempo, prima e dopo quella data, in molti magazzini e aziende di logistica, hanno avuto luogo molti scioperi e blocchi. Sin dai primissimi momenti della crisi di COVID-19 sono sorte proteste spontanee e organizzate per chiedere che fossero garantite le misure sanitarie di distanziamento sociale nei punti di stoccaggio, sanificazioni, guanti di plastica, maschere protettive ed altre misure sanitarie di base. Dalla Valle del Po ai sobborghi di Roma, dalla Lombardia al Piemonte, come in altre parti d’Italia, molti lavoratori si sono fermati. GLS, TNT, DHL, BRT, Amazon (unendosi alla «Amazon Worker Internetional declaration») e altre aziende della logistica stanno ancora affrontando scioperi giornalieri: i lavoratori chiedono che venga rispettato il diritto alla salute sul lavoro e che siano distribuiti solo i beni di prima necessità. Appena prima di Pasqua, dei sindacati hanno ottenuto un accordo con alcune delle aziende della logistica, portandole alla firma di un documento in cui hanno concordato quanto segue: i lavoratori garantiscono l’indispensabile movimento di medicine e cibo; riguardo agli altri beni non-essenziali, i magazzini devono lavorare ad una percentuale ridotta delle proprie capacità. La situazione è ancora fluida e incerta, ma i disordini dei lavoratori continuano.

Ancora, la filiera agro-industriale è in difficoltà perché le misure di contenimento stanno bloccando il rifornimento della forza-lavoro. I lavoratori migranti infatti rappresentano la maggior parte della forza lavoro in questo settore, caratterizzato da iper-sfruttamento e gerarchia fondata sulla linea del colore della pelle: il ristretto regime di mobilità delle leggi d’immigrazione italiane rende strutturalmente illegali i lavoratori migranti, esponendoli ad alti tassi di sfruttamento senza la possibilità di appellarsi ai diritti del lavoro. Per questo svariate organizzazioni e sindacati stanno chiedendo una sanatoria per legalizzare le condizioni civili di questi lavoratori mentre la pandemia porta alla luce il loro ruolo fondamentale nella catena di valore dell’industria agricola.

Riders

Anche se i riders sono estremamente esposti al rischio di infezione, le piattaforme di consegna di cibo non hanno mai sospeso il servizio. Deliveroo ha esteso il suo campo per includere alcuni prodotti “essenziali” come i medicinali e guadagnare nuove fette di mercato. Inoltre, le aziende hanno ridotto il salario minimo orario garantito ai riders e hanno aumentato le commissioni a carico dei ristoranti. Inizialmente, molti ristoranti hanno sospeso il servizio, ma quando la quarantena è stata estesa, hanno ricominciato a rifornire i clienti tramite servizi di delivery.

Nondimeno, le piattaforme non hanno fornito alcun tipo di misure protettive o benefici di emergenza per i propri lavoratori, scaricandosi di ogni responsabilità di fronte a dei lavoratori supposti autonomi. È stato promesso una sorta di rimborso ai lavoratori affetti da coronavirus, ma solo se possono provarlo – e sappiamo che ciò non è proprio facilissimo, in quanto i tamponi sono fatti solo a persone estremamente malate. I riders lamentano mancanza di sostegni e varie organizzazioni sindacali autonome hanno richiesto la sospensione del servizio e l’istituzione di un salario da quarantena. Il problema infatti è che c’è una larga parte di riders che necessitano di lavorare per sostenere le famiglie e non hanno altre forme di reddito.

In questo contesto, le piattaforme di food delivery stanno rinforzando il loro ruolo di infrastruttura sociale per la vita urbana e possono approfittare dell’economia da reclusione post-emergenziale. Allo stesso tempo, mentre questo settore diviene sempre più fondamentale nelle catene di distribuzione del capitalismo, i lavoratori guadagnano nuova visibilità e possono sfruttare il ruolo acquisito per richiedere di migliorare le loro condizioni di lavoro.

Lavoratori autonomi

La situazione che è sorta con il diffondersi del coronavirus ha colpito le imprese e i lavoratori (impiegati e semi-impiegati) ed è assai probabile che sarà molto pesante per i liberi professionisti che non possono contare su sussidi sociali, welfare, o risparmi (a causa di salari spesso sotto il livello di povertà).

All’inizio di marzo, l’associazione di liberi professionisti ACTA, che organizza “la condizione professionale”, ha lanciato un’inchiesta-lampo per raccogliere i dati sugli effetti delle misure per combattere la diffusione del coronavirus nel lavoro autonomo. Particolarmente preoccupante è la perdita di salario che è già avvenuta e che continuerà ad aumentare nei prossimi mesi. I servizi tipicamente forniti da questo gruppo di lavoratori sono infatti programmati in anticipo e sono fortemente condizionati non solo dalle condizioni delle industrie italiane e straniere in generale, ma anche dalla mancanza di movimento delle persone. Dai risultati si evince che le donne sarebbero più colpite degli uomini, in parte perché le professioni che soffrono di più sono molto femminilizzate, e in parte perché il fermo delle scuole e degli asili ha un forte impatto sulla possibilità da parte delle donne di lavorare. In effetti, molte persone ritengono che debbano esserci delle misure compensative a favore di coloro che non possono lavorare a causa della chiusura delle scuole. I settori più affetti rimangono quelli direttamente interessati dal lockdown, ma il rallentamento generale dell’economia inizia ad avere un impatto sullo scenario generale.

In base alle misure prese dal governo italiano durante l’emergenza, è stato disposto un bonus di 600 euro a favore dei liberi professionisti per il mese di marzo. È decisamente poco se comparato alle perdite che si preannunciano decisamente più alte, ma è un primo passo per chi non è mai rientrato nelle misure di ammortizzazione sociale. Inoltre, altre misure dovrebbero essere prese riguardo alle scadenze delle tasse. In generale, la crisi ha riaffermato l’importanza del welfare, non solo per quanto riguarda la sanità, ma anche rispetto al lavoro, che prevedeva sistemi di welfare già collaudati per i lavoratori indipendenti ma non per tutti gli altri e le altre.

Alcuni elementi di discussione

In un’epoca storica marchiata da crisi umanitarie, intensificazione di flussi migratori, pandemie, il trasporto dei beni rappresenta un settore fondamentale per l’economia globalizzata. Da un lato, l’emergenza sanitaria che è risultata dalla diffusione del COVID-19 ha accresciuto la consapevolezza che, in un contesto di catene di valore globali e forte interdipendenza tra economie, uno shock che colpisce uno degli snodi della catena ha un impatto sistemico. Secondo alcuni osservatori, quando l’emergenza sarà finita il processo di de-globalizzazione accelererà. Gli sconvolgimenti che le imprese, gli individui e i governi stanno correntemente sperimentando ci portano a pensare che la globalizzazione come progetto sia a rischio. Le imprese molto probabilmente da questa situazione trarranno una lezione riguardo la potenziale crisi delle catene di valore globali portate da questi shock, e questo si potrebbe riflettere, in futuro, in una riconfigurazione dei modelli di business adottati finora.

Cosa invece possono imparare i lavoratori e le lavoratrici da quest’esperienza inaspettata? Se, come dicono alcuni osservatori, la pandemia ha dimostrato la fragilità delle global value chain (catene di valore globali) e che questo accelererà il trend di de-globalizzazione, d’altra parte loro prevedono una crescita nel settore logistico (nonostante il rallentamento dello scambio internazionale), spedizioni e corrieri (a causa della crescita della domanda di consegne a casa). Lo scenario inedito che sta emergendo ci spinge a riflettere riguardo alle prossime linee di rottura, imparando dai conflitti passati.

Inoltre, si profila la possibilità di una «shut-in economy» successiva all’emergenza, con un ruolo sempre più rilevante delle piattaforme e delle società di vendita al dettaglio. I giganti della tecnologia stanno traendo profitto dalla crisi, grazie al divenire fondamentale per la vita sociale delle loro infrastrutture digitali. Ciò spingerà in direzione di una maggiore automatizzazione e digitalizzazione del lavoro e dei servizi. La distinzione tra smart-working e lavoro in presenza sembra riflettere una composizione tecnica del capitale che ha luogo in base alle differenti capacità di digitalizzazione ed esternalizzazione. Nondimeno, la casa non può di certo essere inquadrata semplicisticamente come posto di lavoro sicuro e migliore: piuttosto interseca la pratica lavorativa con altre condizioni come il salario, la razza e il genere. Non tutte le persone hanno accesso ad internet nello stesso modo o hanno le stesse condizioni casalinghe; la casa può essere anche un luogo di violenza di genere o di gerarchia.

La pandemia sta producendo un’esperienza di massa che apre nuove energie potenziali di conflitto. Pertanto, è importante orientare le inchieste ed elaborare ipotesi delle tendenze emergenti. Bisogna essere pronti a cogliere le opportunità per verticalizzare potenziali rotture verso una destrutturazione del dominio capitalista. Il profilo dei soggetti sociali che emergerà in questo nuovo scenario è ancora vago, ma si può scommettere sulla possibilità dell’espressione politica di un campo sociale che non accetterà di pagare gli alti costi della crisi. La sfida è di organizzare nuove possibilità di lotta di classe, individuando i soggetti portanti che hanno obiettivi antagonisti contro il sistema corrente nello scontro già in corso. In quest’ottica, pensiamo che nuove opportunità per la lotta di classe stiano emergendo, e che il potenziale di agire per una molteplicità di vecchie e nuove forme di lavoro aumenterà. Inoltre, due altri campi saranno strategici: la “digitalizzazione” del lavoro e della vita – incluse forme pervasive di sorveglianza sociale – diverranno probabilmente un nuovo terreno di conflitto, con forme e dinamiche ancora da inventare; la riproduzione sociale è un campo di tensione dove nuovi processi conflittuali possono emergere. All’interno di questo eterogeneo insieme di possibilità, pensiamo che la crisi debba essere inquadrata non solo come uno spazio/tempo di ristrutturazione del capitale e di paura sociale, ma anche come una possibilità per rilanciare nuove configurazioni delle lotte.

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