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Stralci di inchiesta: PizzaBo, JustEat e sfruttamento nel platform capitalism

Talvolta questo tipo di capitalismo è stato definito anche sharing economy (pensiamo a portali come Blablacar o Airbnb); ma in questi giorni si è anche mostrato come gig-economy, ovvero quella economia che include anche la messa a valore di figure professionali come il fattorino che erano considerate una volta come “secondi lavori”, come ci insegna il caso di Foodora Foodora e delle mobilitazioni intorno ad essa.

Un meccanismo che prospera e prolifera sulla vita iper-precaria di centinaia di migliaia di giovani, che hanno sempre più difficoltà ad arrivare alla fine del mese e che si trovano costretti ad accettare paghe da fame e condizioni lavorative indecenti. Queste prestazioni lavorative non riescono nemmeno più ad essere sufficienti alla riproduzione del singolo, che in un circolo vizioso deve spendersi in altri lavoretti per provare a raggiungere la sostenibilità finanziaria.

L’utilizzo smodato di strumenti come i voucher si rivela inoltre funzionale allo sfruttamento più profondo, negando alcun tipo di previsione di welfare al lavoratore; tanto che per paradosso diventa quasi un intralcio, dato che contribuisce alla crescita dell’imponibile su cui si possono poi avere o meno agevolazioni fiscali, senza assicurare alcun beneficio in cambio.

Abbiamo intervistato Paolo (nome di fantasia), studente universitario bolognese che ha fatto per anni il porta-pizze in città e ha conosciuto da vicino il modello di PizzaBo, start-up creata a Bologna e venduta qualche mese dopo per più di 50 milioni di euro ad una multinazionale berlinese che a sua volta l’ha rivenduta al colosso danese del take-away JustEat.

La conversazione che segue ha toccato differenti punti interessanti, come la correlazione tra un welfare sempre più assente e l’aumento del lavoro nero, la rottura di alcuni pregiudizi che vedono nella sharing economy un guadagno per tutte le parti in causa (quando per aziende e suoi dipendenti non è affatto detto che sia così), ma anche il processo di accentramento monopolistico in corso da parte delle start-up più famose o in grado di conquistarsi una posizione di forza sui mercati.

Buona lettura, qui i link alle precedenti interviste e considerazioni raccolte nell’ambito dell’inchiesta (11223344).

INFOAUT: PizzaBo è uno dei principali esempi di start-up di nuova generazione, aziende che di fatto guadagnano solamente sulle commissioni che chiedono a chi utilizza la propria piattaforma virtuale per comprare e vendere beni. Di fatto dalle sue recenti vicende emerge una logica di spartizione del mercato in corso nel settore.

 

Paolo: Esatto. Per esempio, stando sul locale, PizzaBo prima si afferma in maniera imponente a Bologna, poi si espande ad altre città italiane; per il suo successo, viene comprata da Rocket Internet che poi a sua volta la vende a JustEat, in cambio di altri asset di proprietà di JustEat in altre aree geografiche d’Europa. Quello che si crea è una sorta di cartello nel mercato del take-away, con PizzaBo che fra qualche settimana sparirà come marchio, cosa che porterà a conseguenze come i dubbi sul futuro dei suoi lavoratori, che sono al centro di una causa legale e sindacale dato che JustEat vuole trasferirli a Milano e loro a parte qualcuno non vogliono accettare, in quanto tutti bolognesi di lungo corso. PizzaBo ha monopolizzato il mercato, da quando è nata a Bologna oltre a lei c’erano la multinazionale JustEat e CosaOrdino, che però avevano quote di mercato residuali.

 

INFOAUT: Ma su cosa guadagnano aziende come PizzaBO?

 

Paolo: PizzaBo si prende circa un 10-15% su ogni pagamento che viene effettuato da cliente a ristorante. Ovviamente sei obbligato a dare l’esclusiva del tuo take away a PizzaBo, non puoi diversificare le piattaforme che usi. I pagamenti che tu fai in carta di credito non convengono alla pizzeria, dato che a differenza del contante quei pagamenti vengono girati da PizzaBo all’azienda solo in un secondo momento, arrivano a fine mese scalati delle commissioni che tu devi a pizzaBo sugli acquisti in contante. Il tutto ovviamente toglie liquidità all’azienda. Uno potrebbe rispondere che però pizzaBo in cambio da visibilità e pubblicità: però non è manco vero che questo sia cosi positivo, dato che pizzaBo da visibilità a tantissime pizzerie e la fidelizzazione è sempre più difficile.

Insomma, PizzaBo vince sempre, mentre le pizzerie vincono una volta a testa; solo per il cliente è un passo avanti, ovviamente a meno che non sia anche un fattorino (ride). Inoltre ormai essendo cosi noto e utilizzato, non puoi neanche pensarne di uscirne, pena la morte completa della tua pizzeria, o quantomeno del suo reparto di take-away. La quantità di ordini non è aumentata, parte del totale si è trasferito sulla piattaforma e molto del traffico “diretto” dell’andare fisicamente al locale si è persa.

 

INFOAUT: Come era organizzato il modello PizzaBO, anche in relazione ai fattorini che svolgevano fisicamente le consegne?

 

Paolo: Partiamo dal fatto che non esiste ancora a Bologna un qualcosa come Foodora, qui tutti i fattorini sono dipendenti diretti delle pizzerie, non di terzi come JustEat. Qui si può scegliere se fare la consegna da soli o se affidarsi ai fattorini di JustEat (ovviamente il ristorante dovrà pagare di più). Prima, se accettavi di entrare nel suo ambito, PizzaBo offriva ai fattorini la borsa termica con il logo per consegnare le pizze, ma non era un obbligo o una affiliazione vera e propria, era solo un gadget.

I ristoranti ad ora non si affidano a JustEat perchè costa molto molto di più che farlo da soli; ergo è tutto molto più individualizzato, non c’è una gestione unica e coordinata dei fattorini come Foodora, o quantomeno non sembra essersi sviluppato ancora così tanto. Io ho lavorato fino a giugno scorso, non so se anche qui a Bologna c’è un passaggio in questa direzione; mi sento di essere stato alla fine un privilegiato, la maggior parte di quelli che fanno questo lavoro sono studenti del liceo che vogliono arrotondare. Le pizzerie prima cercavano gente per lavoretti, ma è evidente che non è un lavoro vero e proprio, è tipo il ragazzo che vende il latte nei film americani.

 

INFOAUT: Quindi non certo un lavoro che può assicurare una sussistenza..

 

Paolo: Puoi guadagnarci uno stipendio solo se lavori 12-15 ore. L’arrivo di massa dei minimarket e il moltiplicarsi delle piccole pizzerie ha ammazzato questo modello; io sono passato dall’essere pagato 7 all’ora e usare il motorino aziendale con benzina pagata, a sentirmi fare proposte di farlo per 5 all’ora con tutte le spese mie, altrimenti non conveniva più al datore. E queste sono anche le condizioni di chi lo fa adesso, almeno stando a quelli che conosco che fanno la stessa cosa. Il punto è che in una situazione del genere è anche difficile immaginarsi percorsi di rivolta, dato che non c’è una unificazione del datore di lavoro e la dinamica è essenzialmente di impiego da parte di un familiare. Forse è troppo presto, probabilmente stiamo andando verso quel passaggio là, che sarà di impatto non male dato che qui si parla di centinaia e centinaia di persone.

 

INFOAUT: Come si viene pagati in questo tipo di lavori?

 

Paolo: Fino alla settimana scorsa quei pochi che lavoravano in regola lavoravano coi voucher, dato che i voucher li potevi attivare anche dopo la giornata di prestazione del servizio; ciò voleva dire che tu in caso di infortunio lo attivavi, altrimenti no e prendevi i soldi in nero. Ora invece si dovrà attivare il tutto in anticipo, e questo porterà a situazioni complicate dato che il lavoro nero che piaccia o no è quello che in un contesto simile permette a tante persone di rimanere a galla; questo per esempio perchè lavorare in nero ti salva dal dover pagare una barca di tasse, sia all’azienda che a te.

Io sono anche studente, e lavorare in nero ti fa stare sotto la somma di guadagno che per esempio, se la raggiungi, non ti permette di accedere alla borsa di studio. Io l’anno che ho lavorato in regola non sono riuscito a prendere la borsa di studio, dato che le soglie per ottenerla sono davvero basse: visto che anche il voucher ora va dichiarato nel calcolo ISEE paradossalmente il sistema ti incentiva a lavorare in nero e quindi senza diritti per non ricevere ancora meno welfare rispetto alla miseria che già (non) percepiamo oggi. Dopo che l’anno scorso non ho fatto alcun voucher e ho chiuso il contratto a chiamata che avevo, quest’anno riesco a prendere la borsa di studio e a lavorare giorni in meno rispetto a prima perchè non devo pagare le tasse universitarie. E’ un circolo vizioso, che parte evidentemente da fasce troppo basse per l’esenzione dalle tasse, e quindi interroga anche il modello di città che si vuole costruire.

 

INFOAUT: Di fatto se lavori in nero puoi iscriverti, se sei regolare no..

 

Paolo: C’è una diffusione comunque sempre maggiore di questo tipo di lavori che si sta sviluppando in Italia. Una svolta tra i fattorini è sicuramente necessaria anche perchè la situazione sta precipitando, le paghe sono scese incredibilmente e sicuramente l’intreccio tra crisi complessiva e impoverimento giovanile continua a creare queste condizioni. Il punto è che tutto il rischio è su di te, e dopo un po’ ad ogni modo non ce la fai a starci dentro anche perchè devi lavorare tutto il giorno per riuscire a fare qualcosa…bisognerebbe provare davvero a rompere questa situazione, perchè è davvero molto dura starci dentro ma è ancora più complicato andare avanti standone fuori!

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