Manifesto

Manifesto di critica logistica

D’altro canto la natura del capitale presuppone che esso percorra le diverse fasi della circolazione, ma non idealmente, con la velocità mentale con cui un concetto si rovescia nell’altro in un tempo zero, bensì come stadi distinti nel tempo. Prima di poter volare come farfalla, esso dev’esser crisalide per un certo tempo. Le condizioni di produzione del capitale che risultano dalla sua stessa natura, sono quindi contraddittorie.

Karl Marx, Grundrisse (Vol. I), Pgreco, Milano, 2012, p. 538.

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Prima di poter volare libero come una farfalla, il capitale finanziarizzato contemporaneo necessita ancora di passare attraverso l’essere crisalide. Questo stadio peculiare è oggi dominio della logistica, il cui vasto oceano di operazioni si muove a velocità inedite e con una estensione planetaria.

La logistica è la forma di intelligenza strategica che coordina l’armonizzazione di produzione, circolazione e consumo nel capitalismo globale, ne sorveglia la riproduzione, e si pone come traino per l’accelerazione crescente che contraddistingue i processi di circolazione – sempre più egemonici sull’intero processo.

La fantasia geografica della logistica concepisce il mondo come un sistema in scorrimento continuo, una cartografia di flussi sorretta da complesse reti infrastrutturali.

L’incontro/scontro tra correnti di denaro e di lavoro produce in questa direzione una geografia variegata e irregolare di circolazione di merci che navigano sull’intera superficie della Terra.

Queste correnti sono comandate da impulsi logistici, che le canalizzano in canali e corridoi gestendone le frequenze.

La logistica trasforma ciò che è solido in materia liquida, trattando merci e dati come fossero gas all’interno di una pipeline che devono fluire a una pressione tenuta costantemente sotto controllo.

La logistica esprime dunque un potere specifico di coordinamento dei flussi, coreografando il circo delle merci.

Questo immaginario logistico è tuttavia continuamente interrotto da attriti, lotte, conflitti, mostrando prospettive radicalmente differenti che scompongono le metafore di un mondo piatto e liquido.

Sebbene la logistica detti il ritmo del capitalismo contemporaneo, i suoi movimenti sono puntualmente contingenti e contestati. Inoltre, più l’orchestra logistica accelera i suoi flussi di merci, più aumenta il potere di interruzione degli stessi.

La logistica dunque è una realtà sfaccettata, un prisma che contiene molti mondi.

Entriamo dentro questa scatola oscura…

  1. Logistica è… crisi

Ogni periodo storico del capitalismo è caratterizzato dall’emersione di forme di produzione e di potere che tendono a integrarsi in maniera egemone su quelle che le precedono – all’interno di sequenze imprevedibili, tramite percorsi non lineari e contraddistinti da continui ritorni. Nel momento in cui queste forme egemoni entrano in crisi, si supplisce alla crisi produttiva tramite l’intervento sulle geografie (ossia sulle forme di potere) della circolazione di merci e capitali.

Oggi stiamo assistendo a una accelerazione di questi processi. Crediamo dunque che non sia un caso che in seguito al crack finanziario del 2007-2008, la logistica sia progressivamente emersa sia nel dibattito manageriale che nell’ambito dei conflitti a livello globale quale vettore cruciale. La logistica è infatti la disperata ricerca di vendere merci imponendo una struttura della circolazione, configurandosi quale tentativo di soluzione della crisi dei cicli capitalistici.

  1. Logistica è… un’ideologia

Una critica della logistica non può che passare per una analisi delle sue trame discorsive e analitiche. Nata nel mondo coloniale, schiavistico e militare per l’organizzazione, il controllo e la regolazione del movimento e dei suoi arresti, la logistica dal XIX secolo si conforma come una specifica matrice di razionalità, una logica logistica che mischia le summenzionate esperienze storiche in un unico paradigma di efficienza, velocità e affidabilità. È in questo contesto che vengono alla luce gli effettivi intrecci tra logistica, finanza e forme di governo, così lampanti nel presente globale

Col XX secolo si può parlare di una vera e propria ideologia logistica, che tematizza il mondo come uno spazio liscio e senza attriti. O meglio: l’ideologia logistica è uno strumento per levigare ed elidere le disruption, siano esse legate a conflitti sul lavoro, a ostacoli naturali o a eventi bellici. Passando attraverso l’affermarsi del toyotismo il “just in time and to the point” diviene definitivamente omnicomprensiva logica che sostiene la visione di un mondo senza conflitti. Un’ideologia che si arma per essere creduta.

  1. Logistica è… produzione di spazio

La logistica nasce con la rivoluzione spaziale della “modernità”, come insieme di tecniche, saperi e pratiche per adattarsi all’inedita dimensione apertasi su spazi continentali e oceanici. È indissolubilmente legata all’imporsi e al dissolversi delle logiche elementari di produzione dello spazio acquatico e terrestre, o per meglio dire è lo snodo sul quale si sviluppa una logica terracquea che da necessità adattiva si fa logica di produzione dello spazio. La logistica è simbiotica alla costruzione storica del globale, con le sue soglie epocali e il suo continuo e mai compiuto divenire.

La logistica si presenta come “costituzione materiale” dei processi di globalizzazione: saldandosi con le nuove dimensioni dell’aria e della Rete; affinandosi come produttrice di spazialità intrecciate e parzialmente indipendenti da quelle statuali e urbane; definendo nuovi ordinamenti giuridici e nuovi interessi. Questo movimento dà vita a una complessa riscrittura della superficie terrestre coprendola di nuove venature e passaggi per la gestione dei flussi, che sono effetti e non cause, e che devono essere sempre letti a partire dalla serie di confini in moltiplicazione per l’incanalamento, la regolazione o il contenimento dei movimenti logistici in senso lato.

  1. Logistica è… ritmo

Il capitale è tempo che riesce a presentarsi come spazio, un continuo rideterminare le strutture del tempo muovendosi nello spazio. È comando del tempo sociale che mira ad annullare gli interstizi che intercorrono tra la produzione e il consumo, realizzando immediatamente il valore nel profitto. In questo senso le infrastrutture logistiche sono de facto un supporto temporale all’abbattimento della sequenza appena menzionata.

La logistica inoltre punta alla sincronizzazione di un tempo globale, al dettare le ritmiche del lavoro in un coro diligentemente diretto, e si scontra di continuo con la diversità di condizioni sociali, soggettive, politiche che incontra in giro per il mondo.

  1. Logistica è… storia del nostro presente

La logistica è oggi luogo sul quale si stratificano molteplici provenienze storiche. Una genealogia logistica ritrova le proprie tracce nelle trasformazioni commerciali e dei sistemi di produzione, nelle modificazioni delle forme militari e di potere, nelle contro-condotte del capitale ai processi di insubordinazione. La logistica è fatta di differenti tipologie e strategie, ma non è un novum degli ultimi decenni, articolandosi appunto a partire dagli albori della modernità.

La cosiddetta Logistics revolution avvenuta negli anni ’50 e ’60 del XX secolo è stata un passaggio importante nella riorganizzazione dei processi produttivi, definendo una “soglia storica” che determina una complessiva riorganizzazione non solo del modo di produzione capitalistico ma anche dei diversi vettori temporali che compongono la genealogia della logistica. Una sincronizzazione dei tempi storici che lega la storia della logistica alla sua operatività attuale.

Riteniamo tuttavia che uscire dal presentismo e dotarsi di un’analisi di longue durée permetta di superare un’impostazione incentrata sulla contemporaneità, che rischia di appiattire il concetto e farsi ammaliare dall’ideologia logistica, la stessa che presenta lo stato di cose attuali come un lungo presente senza alternative. La forza di uno “sguardo logistico” sta invece anche nel fatto che da esso si può estrarre una visione processuale della “global history” – sfuggendo dunque a quella che potremmo definire una “amnesia” storico-politica tanto utile al progetto neoliberale.

  1. Logistica è… lotta di classe

Una delle tracce per la nascita della logistica moderna va rilevata nel controllo delle resistenze al trasporto della merce-umana nelle tratte schiavistiche, dove si de-soggettivavano e ri-soggettivavano gli schiavi estirpati dall’Africa e reintrodotti nelle piantagioni. Inoltre per secoli i porti sono stati i principali luoghi di conflitto e rivolta. La movimentazione delle merci è stata d’altronde il settore dove si sono creati impensabili mix di composizioni di classe tra l’Asia e il Sud America. I facchini nordamericani sono stati il primo terreno di organizzazione del lavoro black a inizio Novecento. A partire da questi episodi interpretiamo quindi la Logistics revolution del secondo Dopoguerra piuttosto come una “contro-rivoluzione”: messa in campo per smantellare il potere operaio nella grande fabbrica fordista e smembra la potenza del lavoro vivo sul territorio e su scala transnazionale, nonché le molteplici forme di potere “popolare” accumulato in diverse parti del mondo nelle lotte anti-coloniali e anti-imperialiste.

Pertanto la “(contro)rivoluzione logistica” non è una semplice innovazione tecnica ma una risposta politica all’insubordinazione di classe dell’operaietà fordista e ai processi di decolonizzazione, che anticipa e costruisce materialmente l’epoca neoliberale. Non è un caso che oggi l’industria logistica sia un mondo dove stanno emergendo innumerevoli conflitti di classe all’interno di un più generale paradigma emergente di lotte sulla circolazione.

  1. Logistica è… politica

La logistica intesa come piano di infrastrutture fisiche e immateriali per la circolazione precede, o quantomeno è il presupposto, per la costituzione di sovranità territoriale. Lo ripetiamo, la costruzione di uno spazio logistico, lungi dall’essere un ambito meramente tecnico, implica una razionalità e un disegno politici. Ciò è stato vero per la formazione di Stati e Imperi, così come per forme politiche più recenti come ad esempio l’Unione Europea.

Tuttavia oggi, nella trasformazione complessiva delle forme di sovranità, la logistica si sta ridefinendo su scala planetaria come vera e propria forma politica in sé, laddove il potere sempre più si trova sui canali di interconnessione, nei corridoi di circolazione, negli spazi logistici globali. Un potere che, attraverso la logistica, deve essere ripensato sul piano globale come in continua oscillazione tra processi di istituzionalizzazione e di movimento, entro una relazione mai pienamente fissata tra potere politico e potere sociale. La logistica è una forma di potere extra-statale e dinamico, nel senso che non risponde a una sovranità prestabilita ma può insinuarsi o scansarsi a seconda delle esigenze su diverse territorialità. La logistica dunque è una politica, fa politica, parla del politico.

  1. Logistica è… lavoro

Nonostante le narrazioni prevalenti dell’immaginario logistico rimandino a catene automatizzate, la logistica è un settore lavorativo che impiega milioni di persone a livello globale. All’interno delle odierne catene di produzione la logistica esprime la capacità di interconnettere e moltiplicare figure e regimi di lavoro lontani e differenti grazie a tecnologie e sistemi di trasporto in continua evoluzione. Al suo interno si ritrovano forme semi-schiavistiche e futuristiche, lavoro diretto tramite il più classico comando di catena di montaggio e lavoro organizzato via app e algoritmi.

La logistica è dunque un laboratorio per vecchie e nuove tecniche manageriali, ma anche terreno di sperimentazione per l’organizzazione del conflitto sociale con la proliferazione di percorsi di sindacalizzazione, di sabotaggio, di coinvolgimento comunitario, di forme inedite di composizione e di soggettivazione autonoma dei lavoratori e delle lavoratrici. La logistica si muove sull’ambivalenza tra frammentazione e connessione della forza lavoro. Dunque al contempo divide e crea possibilità inedite di congiunzione tra i lavoratori su scala globale, disconnettendoli ma aumentandone il potere a partire dalla posizione strategica da essi occupata all’interno delle supply chain.

  1. Logistica è… produzione

La logistica storicamente si presenta quale ambito intermedio nel processo produttivo, è il momento marxiano della circolazione, cerniera tra produzione e consumo. Trasporto, movimentazione e magazzinaggio sono attività dove il capitale investito abbatte i costi per lo spostamento. Scorporazione, esternalizzazione, intensificazione degli scambi, loro ripida accelerazione grazie alle nuove tecnologie, hanno al contempo frantumato i precedenti processi produttivi nell’ottica della minimizzazione dei costi del lavoro – oltre che di una sua intensificazione, dello stoccaggio e della distribuzione.

La logistica tende però oggi a fuoriuscire dall’essere un semplice “settore” per divenire piuttosto infrastruttura e logica organizzativa di tutto il ciclo. Infatti con la “contro-rivoluzione logistica” la circolazione viene definitivamente organizzata su scala capitalistica, non più mercantile. C’è un investimento dunque di capitale che fa sfumare i confini tra produzione, circolazione e consumo. Per dirla meglio: viviamo all’interno di un modo di produzione a trazione logistica dove la distribuzione (retail revolution) tende a guidare la produzione (nel senso di dettare gli standard produttivi e di impostarne i ritmi).

  1. Logistica è… riproduzione

La logistica «aggiunge valore» e «realizza profitto». Il problema del valore è leggibile a ridosso della minimizzazione dei costi del lavoro, ovvero di come complessivamente la logistica sia – in relazione al lavoro sociale, che si dispiega su scala globale – uno strumento di riduzione del lavoro socialmente necessario alla riproduzione della forza lavoro (che significa d’altra parte aumento del plusvalore estratto).

Questa trasformazione logistica fa uscire la produzione da quelli che erano i propri siti elettivi, invadendo le sfere della circolazione e della riproduzione. Se dunque “l’eccesso” di rivendicazioni sociali (welfariste, in termini di diritti e salario) fa saltare il modello-fabbrica (e con esso, sia detto di passaggio, una specifica forma-Stato), laddove il sociale invade la produzione, ecco prodursi una sorta di contraccolpo. La produzione o, meglio, la forma industrializzata di essa, inizia a invadere e mettere in forma il sociale. Di conseguenza le distinzioni tra ambiti produttivi e riproduttivi, distributivi e di consumo, tendono a farsi sempre più elusive. Ma, come già detto, siamo di fronte a un passaggio problematico, crisogeno.

  1. Logistica è… tecnologia

Il ruolo baricentrale che il consumo ha acquisito nella società contemporanea è, tra le altre cose, frutto di una ristrutturazione tecnologica: il paradigma reticolare sostituisce alla logica della concentrazione quella della distribuzione; al potere della tecnica “calda” quello freddo della tecnologia informazionale; alla fisica nucleare la “metafisica” cibernetica; all’orizzonte storico del mondo di fabbrica quello informazionale. Il “modo di produzione a trazione logistica” trova nella cosiddetta “Quarta rivoluzione industriale” un passaggio iconico. Non solo l’iperconnessione informatica di Internet, ma anche i processi e le forme che prendono il nome di digitalizzazione, automazione, e-commerce, gig economy, platform capitalism ecc… non sono altro che l’attuale condensazione della serie di tracce genealogiche che abbiamo sinora elencato, ne rappresentano le ultime frontiere di espansione intensiva ed estensiva del capitale verso un modo di produzione a trazione logistica.

Queste forme “smaglianti” si basano tuttavia sulla compresenza di high-tech e arcaismi nello sfruttamento del lavoro, mostrando ancora una volta la non-linearità dello sviluppo, il suo non essere progressivo. La tecnologia incarna il rapporto sociale senza essere semplicemente tecnica – e la tecnica non è meramente strumento, è condensazione del comando sul lavoro. La logistica inoltre implica e produce incorporazione del sapere tecnico.

Le macchine lavorano dentro un rapporto sociale. In quanto capitale fisso frutto di saperi espropriati al lavoro vivo, sono espressione del comando sul lavoro stesso. Ma al contempo proprio nella possibilità di “riappropriazione” di tale capitale fisso si definisce un campo di liberazione possibile.

  1. Logistica è… una lente

La logistica non è semplicemente un paradigma particolare ma anche una lente per rendere visibili flussi, canali, snodi, punti di rottura, articolazioni che spesso risultano inaccessibili, nascoste, oscure, come dati di una black box. Adottare uno sguardo logistico quindi vuol dire costruire un’ontologia del presente a partire dai movimenti e dalle resistenze dei soggetti che si costituiscono all’interno di questi flussi. In un mondo nel quale la mobilità diventa paradigma complessivo di articolazione, la logistica diventa una posta in palio tra punti di vista diversi: tra governo della mobilità e linee di fuga, tra movimenti del capitale e autonomia del lavoro.

Vogliamo però essere chiari. Non vogliamo fare della logistica una nuova metafora per descrivere il capitalismo, né una logica unitaria o unica. La consideriamo una lente importante che consente di osservare alcune dinamiche cruciali. Ma al contempo è necessaria un’attenzione particolare anche a ciò che sta fuori della logistica. Assumere la centralità dei momenti di “incontro” e degli attriti tra la razionalità logistica e una molteplicità di mondi produttivi e della vita che funzionano secondo altre logiche è fondamentale non solo politicamente (per via dei conflitti e delle lotte che si determinano attorno a questi incontri e attriti), ma anche teoricamente – per evitare di convalidare quell’immagine di autosufficienza e di autoreferenzialità che la logistica tende a produrre attraverso la continuità delle sue operazioni.

  1. Logistica è… un metodo

Il carattere molteplice della logistica impone per comprenderla un metodo collettivo e transdisciplinare che tra le altre cose non si schiacci sul presente ma ne ripercorra le stratificazioni storiche e ne metta in luce le possibili linee di rottura. Proponiamo “uno sguardo politico”, perché il punto di scarto rispetto agli studi attuali è nel passare dal domandarsi “Come?” al chiedersi “Perché?”, da una fenomenologia a una ermeneutica della logistica, da una “descrizione” di come essa funziona a una discussione sulla sua politicità – nel comando sul lavoro, nella costruzione degli spazi urbani ecc…

Se la logistica è la “costituzione materiale della globalizzazione”, si tratta di mostrare i conflitti e i campi di tensione nei quali essa si produce. Poiché nel nostro approccio la logistica rappresenta un campo che permette di affrontare contemporaneamente “struttura” e “soggettività”, è necessario unire etnografia – come sapere situato, in profondità, on the ground – e capacità di astrazione teorica in grado di indagare “il globale”. Al pluralismo metodologico va integrata una “transcalarità” che miri non solo a distinguere ma anche a connettere e comprendere la continuità, ad esempio tra lo spostamento del pacco all’interno del magazzino, il magazzino nel contesto urbano, il contesto urbano nelle reti continentali, fino alle global supply chains – e viceversa.

 

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