I Quaderni di Into the Black Box, Pubblicazioni

Out Now! Pensare la Pandemia [Free eBook]

Pubblichiamo il secondo volume della collana I Quaderni di Into the Black Box. Il libro raccoglie alcuni dei contributi dei partecipanti al seminario Radical Thinking in Time of Pandemic che IBB ha organizzato durante i mesi di lockdown per interrogarsi in maniera critica sulle conseguenze sociali, politiche, economiche ed ambiantali del Covid-19. Inoltre sono presenti due saggi “ospiti”, uno di Maurizio Lazzarato e uno di Antonio Negri.

Qua il testo completo scaricabile gratuitamente.

A seguire abstract, indice del volume e introduzione a cura di IBB.


Questo volume raccoglie una serie di riflessioni sviluppatesi all’interno di un seminario internazionale organizzato da Into the Black Box e tenutosi online fra aprile e maggio 2020 per provare a pensare collettivamente la pandemia in corso sottraendosi tanto alle narrazioni dell’eccezionalità e del catastrofismo quanto a quelle del negazionismo e del complotto. Dall’arrivo del Covid-19 in Europa sono passati oramai diversi mesi in cui abbiamo visto il dibattito pubblico evolversi rapidamente – la riflessione sulle epidemie nella storia moderna o la critica delle misure di distanziamento sociale hanno lasciato spazio al tema della crisi economica e delle trasformazioni urbane, per citarne alcuni – mentre gli Stati si attrezzavano a gestire la convivenza col virus così come a fare i conti con il crollo globale della produzione. Ci sembra, tuttavia, che la situazione sia ben lungi da essersi risolta. Il volume, infatti, viene pubblicato alle porte di un autunno che pare consegnarci una nuova ondata di contagi insieme alle prime conseguenze evidenti degli effetti economici dei mesi di lockdown. Pensare la pandemia è dunque un tentativo di analizzare criticamente il nostro presente a partire e al di là del Covid-19.


Indice del volume

INTRODUZIONE
Into the Black Box
8
GIUSTIZIA CLIMATICA E TRANSIZIONE ENERGETICA
Emanuele Leonardi
16
IL CREPUSCOLO DEL GEO-CAPITALISMO. VIRUS, CORPI, NATURA, VALORE
Dario Padovan e Andrea Lo Bianco
26
IL MODELLO CINESE AL TEMPO DEL COVID-19
Simone Pieranni
39
LA POLITICA DEI CONFLITTI NEGLI STATI UNITI DELLA PANDEMIA
Tania Rispoli
44
STRAVOLGERE IL BUSINESS AS USUAL. L’IMPATTO DEL COVID-19 SUL LAVORO DI PIATTAFORMA
Niels Van Doorn, Eva Mos e Jelke Bosma
59
LA QUESTIONE DELLA RIPRODUZIONE SOCIALE
Simona De Simoni
67
NON VOGLIAMO TORNARE ALLA NORMALITÀ: IL CORONAVIRUS E LE LOTTE DELLE DONNE
Cinzia Arruzza
81
IT’S THE CAPITALISM, STUPID!
Maurizio Lazzarato
88
EUROPA: I PADRONI CERCANO LO SHOCK
Antonio Negri
108
PRESENTAZIONE DEGLI AUTORI117

Introduzione a cura di Into the Black Box

Questo volume raccoglie una serie di riflessioni sviluppatesi all’interno di un seminario internazionale organizzato da Into the Black Box e tenutosi online fra aprile e maggio 2020 per provare a pensare collettivamente la pandemia in corso sottraendosi tanto alle narrazioni dell’eccezionalità e del catastrofismo quanto a quelle del negazionismo e del complotto. Dall’arrivo del Covid-19 in Europa sono passati oramai diversi mesi in cui abbiamo visto il dibattito pubblico evolversi rapidamente – la riflessione sulle epidemie nella storia moderna o la critica delle misure di distanziamento sociale hanno lasciato spazio al tema della crisi economica e delle trasformazioni urbane, per citarne alcuni – mentre gli Stati si attrezzavano a gestire la convivenza col virus così come a fare i conti con il crollo globale della produzione. Ci sembra, tuttavia, che la situazione sia ben lungi da essersi risolta. Il volume, infatti, viene pubblicato alle porte di un autunno che pare consegnarci una nuova ondata di contagi insieme alle prime conseguenze evidenti degli effetti economici dei mesi di lockdown.

Pensare la pandemia è dunque un tentativo di analizzare criticamente il nostro presente a partire e al di là del Covid-19. Da una parte, questo evento condizionerà non poco gli anni a venire da molteplici punti di vista. Dall’altra, non si verifica in un vuoto pneumatico ma in un pieno di cui rivela in parte le caratteristiche delle forze in campo. Guardare al medio-lungo periodo ci pare dunque utile non solo perché i contorni della situazione globale sono ancora incerti ma anche e soprattutto perché permette di considerare il Covid-19 come una variabile all’interno di un insieme di operazioni strutturali del capitale.

In questi mesi, invece, la gestione e la discussione sembrano essersi appiattite spesso sulla particolarità del momento. La prima fase dello sviluppo della pandemia in Europa si è contraddistinta per una logica che potremmo definire sanitaria. In altre parole, il politico ha dovuto attingere al fondamento hobbesiano dello Stato moderno, ovvero la messa in sicurezza della popolazione a discapito di altre esigenze sia economiche sia sociali. Da una parte abbiamo assistito all’imposizione di misure di distanziamento sociale e quarantena la cui funzione primaria è stata indubbiamente quella di rallentare la curva ascendente dei contagi; dall’altra la divaricazione che si è data nel mondo del lavoro fra smart working e lavori in loco ci ha dato la misura tanto del divenire essenziale di alcuni lavori (ad es. la logistica metropolitana) quanto della pervasività delle tecnologie digitali. Rispetto a questa prima fase, come Into the Black Box abbiamo contributo ad alcune riflessioni collettive contenute nel volume Struggle in a Pandemic del Workers Inquiry Network.

La seconda fase invece ci sembra sia stata maggiormente segnata da una logica economica. Detto altrimenti, alle istanze hobbesiane di salute pubblica dello Stato moderno si è succeduta la difesa dei processi di accumulazione del Capitale. Come scrive Maurizio Lazzarato (2020), “il problema non è la popolazione, ma come salvare l’economia, la vita del capitale. […] Ma questa volta, a differenza del 2008 è l’economia reale che si ferma (sia dal lato della domanda che dell’offerta) e non le transazioni tra banche”. L’economia “reale” ha dovuto far fronte a due importanti problemi: la mancanza di liquidità delle imprese e la difesa di quote di mercato rispetto alla concorrenza internazionale. Questo ha spinto i governi nazionali a mettere repentinamente in questione il dogma dell’austerità e ha aperto alla produzione di debito in funzione anticiclica e anticrisi. Ma quale sarà l’uso delle risorse messe a disposizione? Ci sembra questo un punto importante di discussione politica. 

Inoltre, fino a qualche settimana fa i governi e le associazioni padronali di molti paesi europei proclamavano già il ritorno alla normalità, segno della difficoltà capitalista di pensare il proprio tempo all’interno di un modo di produzione sempre più just-in-time e quindi incapace di vivere se non nel frammento del presente. Il rischio di una lettura progressiva del tempo storico è anche quello di non tenere conto della possibile, anzi probabile ciclicità delle ondate di contagio oltre che della replicabilità di un fenomeno del genere. La cosiddetta fase tre, quella della “ricostruzione” e del ritorno alla “normalità”, sembra dunque nascondere una visione acritica delle cause e dei fattori strutturali alla base dell’attuale pandemia. Il ritorno alla vita collettiva è altresì visto come momento residuale rispetto a una serie di altre priorità sociali.

Per riassumere, ci sembra che il dibattito critico in alcuni casi si sia estremamente focalizzato sulla portata eccezionale dell’evento, ovvero su quanto il capitalismo sarebbe stato affetto dalla pandemia. Rispetto a questa impostazione, da parte nostra preferiamo inserire l’analisi dell’impatto socio-politico del Covid-19 all’interno di una serie di trasformazioni di lungo periodo, dalla digitalizzazione del lavoro ai processi di urbanizzazione planetaria passando per la crisi del sistema-mondo a trazione americana e la messa a valore della riproduzione sociale. Il punto è indagare come la pandemia si intreccerà con questi altri fattori a seconda dei contesti.

Altro punto rispetto al quale abbiamo espresso delle perplessità è una certa postura biopolitica che ha individuato nelle misure di distanziamento sociale e contact tracing unicamente una finalità repressiva e di controllo. Piuttosto che appiattire il dibattito attorno al paradigma della sorveglianza crediamo sia importante ricostruire le forze e i soggetti rimessi in gioco dalle conseguenze sociali della pandemia. Come è evidente, lo stato di emergenza sanitaria ha bloccato alcuni importanti movimenti di lotta (ad esempio in Francia o ad Hong Kong) ma non ne ha reciso le radici profonde come dimostra l’esplosione delle proteste anti-razziste in USA.

Da parte nostra, abbiamo preferito individuare diversi campi “strutturali” all’interno dei quali calare un’analisi della pandemia: ecologia, politica, riproduzione sociale, lavoro. Pensare la Pandemia ripropone questi assi a partire dai contributi di alcuni dei partecipanti al seminario online organizzato da Into the Black Box durante il lockdown. A questi abbiamo aggiunto due testi “esterni” – uno di Maurizio Lazzarato e uno di Antonio Negri – che ci sembravano utili per provare a fornire delle chiavi di lettura complessive e trasversali ai diversi campi. 

L’ecologia ci sembra un campo fondamentale per pensare la pandemia all’interno del rapporto più generale uomo-natura. Processi di urbanizzazione planetaria, riscaldamento globale, agro-business e allevamenti intensivi: sono tutte attività che ridefiniscono il rapporto della specie umana con l’ambiente. Non senza conseguenze. Scrive sempre Lazzarato (2020): “l’accumulazione del capitale è infinita e se il vivente, con la sua finitudine, costituisce un limite alla sua espansione, il capitale lo affronta come tutti gli altri limiti che incontra, superandoli”. Questo non comporta solo la trasformazione di ciò che in modo generico chiamiamo natura da valore d’uso a valore di scambio, ma soprattutto una riduzione del vivente a mera estensione dei processi di accumulazione, territorio da inglobare e saccheggiare. Emanuele Leonardi propone la categoria di giustizia climatica come cornice eco-politica che tiene assieme la pandemia e il cambiamento climatico a partire dagli effetti del modo di produzione capitalistico. È altresì importante evidenziare come per Leonardi parlare di cambiamento climatico non significhi delineare scenari catastrofici, ma immaginare piuttosto forme di azione politica. Dario Padovan e Andrea Lo Bianco sottolineano come la pandemia riveli il sistema-terra costituito dal geo-capitalismo al di là di una presunta separazione fra uomo e natura; allo stesso tempo, affermano che la “civiltà dell’accelerazione” trovi nella pandemia un limite non previsto che mette in crisi i circuiti di produzione e circolazione delle merci e che apre a un necessario ripensamento della nostra organizzazione sociale nei termini di una transizione.

La politica come sfera del conflitto e della sua gestione ci pare estremamente sollecitata dalla pluralità di scelte collettive prese o da prendere per contenere la pandemia: la necessità capitalistica di preservare un modo di produzione pre-pandemico collide in più punti con la richiesta di un ripensamento generale del sistema produttivo e l’emergere di conflitti sociali. Di più, attorno alla gestione del Covid-19 si giocano alcune partite geopolitiche – ad esempio la produzione del vaccino – o se ne ridefiniscono altre – come la guerra commerciale fra USA e Cina. Più in generale e in maniera trasversale a diversi contesti, la pandemia non è vissuta allo stesso modo da tutti, ma acuisce il divario fra “nord e sud” del mondo così come la divaricazione fra ricchezza e povertà. Non tutti i paesi, infatti, hanno le stesse possibilità in termini di accesso al credito, competenze tecnico-scientifiche, infrastrutture e questo influirà sulla loro capacità di posizionarsi all’interno delle catene internazionali del valore: la globalizzazione come forma di liberismo realizzato su scala mondiale non sembra in crisi quanto, piuttosto, soggetta a un processo di riassestamento che riscriverà i rapporti fra centri e periferie. Allo stesso tempo, la pandemia porta alla luce contraddizioni interne agli stessi Stati, soprattutto in termini di genere, razza e classe con una disponibilità differenziale di cure, reddito, welfare. Simone Pieranni ricostruisce il cosiddetto modello cinese nella gestione del Covid-19 e il tentativo, una volta superata la fase di picco, di porsi come paese leader a livello internazionale lungo quella che chiama “la via della seta sanitaria”. Tania Rispoli esplora la crisi del patto sociale americano di cui possiamo vedere i segni tangibili nelle proteste contro la violenza della polizia nei confronti degli afroamericani. Il Covid-19, infatti, ha mostrato in piena luce il razzismo strutturale su cui è fondata la società americana e che Rispoli fa ruotare attorno a quattro processi: “la diseguaglianza sociale; la segregazione abitativa; il sistema di incarcerazione di massa; e, infine, il profiling razziale”.

La riproduzione sociale è chiaramente emersa durante la pandemia quale terreno di contesa fra processi di valorizzazione e istanze di cura. Le spinte, oramai neanche più celate, verso forme di darwinismo sociale sembrano contrapporsi a dei processi di soggettivazione in corso sul terreno della riproduzione – che prendono tanto la forma di richieste specifiche (ad esempio, la rinnovata spinta sociale per un universalismo del welfare in grado di garantire tutela durante e oltre la pandemia) così come quella più generale di un ripensamento dell’organizzazione sociale. Secondo Simona De Simoni, la pandemia ha messo in risalto una volta per tutte il valore sociale dei lavori riproduttivi, spesso connotati in termini di genere e razza, anche se a questo non corrisponde un loro riconoscimento materiale. “Su un piano più generale, la crisi pandemica ha portato in superficie la contraddizione insita al processo della riproduzione sociale: una tensione profonda tra il «fare vita» e il «fare profitto», tra la tutela della vita e la messa in sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici e la logica contraria della produzione a tutti i costi”. Cinzia Arruzza ha invece sottolineato come la riproduzione sociale sia oggi al centro di processi di accumulazione che producono nuove differenze di classe e discriminazioni. Il movimento femminista però ci spinge a individuare nella riproduzione sociale anche un terreno di lotta costante e fondamentale per far sì che le parziali aperture in corso rispetto, ad esempio, alle politiche di austerità non restino appannaggio di pochi ma diano il via a un nuovo corso.

 Il lavoro, infine, è stato oggetto in questi mesi di repentini processi di riorganizzazione produttiva: da una parte assistiamo a un’ulteriore spinta verso forme di digitalizzazione del lavoro e della vita sociale; dall’altra, la delocalizzazione produttiva prende la forma dello smart working al punto da individualizzare gli spazi di lavoro. Allo stesso tempo, come già accennato, la pandemia ha funzionato da evento rivelatore del carattere oramai “essenziale” di alcuni servizi, ad esempio quelli legati alle piattaforme o alla logistica. Come notano Niels Van Doorn, Eva Mos e Jelke Bosma, il lockdown e le misure di distanziamento sociale favoriscono l’inclusione della sfera della riproduzione sociale all’interno dei meccanismi di cattura delle piattaforme e, allo stesso tempo, espongono la riproduzione della forza-lavoro ad alti rischi in termini di contagio e precarietà. Nei prossimi mesi questa trasformazione delle forme produttive dovrà fare i conti con una situazione economica più generale caratterizzata da una contrazione significativa del PIL e da una riorganizzazione globale della produzione che, come scrive, Toni Negri (2020) “passa infatti dalla lunga fase ordinata allo sfruttamento di plus-valore assoluto e relativo ad un’altra fase di sviluppo caratterizzata dall’estrazione del comune. […] Il nuovo modo di produrre (internet, intelligenza artificiale, robotizzazione, piattaforme, ecc.) attende, giovandosi di questa crisi come mediazione distruttiva del vecchio sistema, l’instaurazione di una nuova forma politica della società produttiva”. All’interno di questo quadro, è lecito aspettarsi nuove spinte e conflitti attorno alla costruzione di una nuova costituzione formale adeguata ai nuovi processi di accumulazione e alle conseguenze globali della pandemia. Come scrive sempre Negri (2020), si aggiunge “oggi il tentativo di prefigurare in concreto un nuovo “diritto del lavoro” che si presenta come dispositivo per una radicale trasformazione della giornata lavorativa sociale in una giornata di alta mobilità e flessibilità lavorativa (con un appesantimento dell’orario di lavoro)”. Se questo ci pare evidente all’interno del contesto europeo, pensiamo altresì che vada mantenuto uno sguardo globale sui fenomeni in corso – anche alla luce del carattere planetario della pandemia – senza assolutizzare il paradigma del capitalismo delle piattaforme il cui destino, fa notare Van Doorn, non è univoco laddove il Covid-19 apre ad esiti diversi a seconda dei servizi offerti. Secondo Lazzarato (2020), “la polarizzazione centro/periferie che dà all’espansione capitalista il suo carattere imperialista, prosegue e si approfondisce. Si riproduce all’interno dei paesi emergenti: una parte della popolazione lavora nelle imprese e nell’economia delocalizzata, mentre la parte più importante cade, non nella povertà, ma nella miseria”. Il rischio è che questa polarizzazione si acuisca sempre di più, anche alla luce delle diverse capacità gestionali degli Stati di fronte a una emergenza sanitaria.

Ringraziamo, dunque, tutti i partecipanti al seminario per aver dato vita a questo scambio proficuo di idee e analisi che speriamo possano essere strumenti utili per agire in maniera critica ed emancipatoria nel nostro presente.

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