Alle frontiere dell'Amazon-Capitalism, Eventi, Multimedia

Interstellar: Dal Globo allo Spazio

Primo seminario del ciclo Alle frontiere dell’Amazon-capitalism
Introduce e coordina: Into the Black Box
Con: Sandro Mezzadra e Giorgio Grappi


Nell’appuntamento verranno introdotti i temi e i problemi che si intendono affrontare nel ciclo seminariale e indicherà alcune prospettive rispetto ai temi specifici dell’incontro “Interstellar: dal Globo allo Spazio”.
Il ciclo adotta Amazon quale punto di ingresso per indagare alcune frontiere cruciali dello sviluppo capitalistico contemporaneo.
In questo incontro intendiamo fare un punto sui processi di globalizzazione e cartografare le implicazioni ideologiche, economiche, geografiche e politiche della rinnovata corsa allo Spazio, dalle missioni di turismo spaziale alle dichiarate intenzioni di dislocare industrie sulla Luna e ai progetti di colonizzazione di Marte – di cui Blue Origin del fondatore di Amazon Jeff Bezos è uno dei capifila.
Più in generale, l’intenzione è di indagare le nuove frontiere di accumulazione viste dal punto di vista spaziale pensando alla nuova corsa allo Spazio, ragionando del rapporto tra pandemia, logistica e spazialità globali, discutendo dello stato attuale dei processi di globalizzazione, e sulle attuali mutazioni nel lavoro logistico e in Amazon.


La dimensione spaziale è da sempre centrale all’interno delle dinamiche capitalistiche. Se da un lato Marx evidenziava la tensione continua verso la compressione dello spazio tramite il tempo – provocando una ricerca costante dell’accelerazione dei flussi che oggi ben si sintetizza nell’idea del just-in-time – dall’altro analizzava il ruolo della frontiera come ricerca di un fuori che apre a nuovi processi di accumulazione originaria da parte del capitale. Questi due fattori – compressione spaziale e ricerca della frontiera – sono alla base della costruzione di quello che sempre Marx chiamava il mercato mondiale o – da un punto di vista diverso – globalizzazione. Il passaggio dal piano al globo è uno dei momenti cardine della modernità perché ha segnato la possibilità di una piena circolazione e la chiusura simbolica della frontiera.  Questo processo materiale e simbolico è andato di pari passo con la costruzione di un sistema di relazioni internazionali fra Stati basato sulla divisione schmittiana fra terra e mare, spazi sovrani e spazi liberi. L’organizzazione dei grandi summit fra le principali potenze economiche mondiali negli anni ’90 ha coinciso con il punto più alto nella costruzione di quello che Hardt e Negri avevano definito l’Impero, il mercato globale di stampo neo-liberale a trazione statunitense. Sono passati esattamente vent’anni da quel G8 di Genova che ha segnato una stagione dei movimenti globali. In quell’occasione veniva paventato un ordine mondiale a partire dalle politiche elaborate dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.

Molte cose sono cambiate da allora. Il consesso dei paesi più influenti dal punto di vista del mercato globale ha trovato nuove forme allargandosi a 20, segno di una più generale ridefinizione dei rapporti geopolitici fra Stati: l’erosione dell’egemonia statunitense è andata di pari passo con la costituzione di un mondo multipolare. La Cina rappresenta sicuramente uno dei paesi che maggiormente si è posto come nuovo leader globale. Già Giovanni Arrighi aveva teorizzato l’idea che il XXI secolo sarebbe stato connotato dall’egemonia cinese. Il progetto della Nuova Via della Sete e gli investimenti nella costruzione di una sovranità digitale costituiscono due traiettorie tanto simboliche quanto materiali di questa ambizione. E proprio il predominio nel commercio globale e il primato nell’innovazione tecnologica sono i due nodi fondamentali dell’attuale scontro con gli Stati Uniti. Eppure il quadro complessivo sembra essere più complesso di un rinnovato bipolarismo fra Stati.

Prima di tutto, va evidenziato come la pretesa di un ordine globale guidato da istituzioni transnazionali abbia lasciato il posto alla necessità da parte degli Stati di limitare il potere delle grandi corporations, in particolare delle cosiddette piattaforme infrastrutturali che oramai dettano le regole del mercato. La razionalità logistica e l’accumulazione di dati che sono alla base di queste forme di impresa le hanno rese in grado di determinare non solo i processi produttivi, ma anche quelli sociali e politici. Le piattaforme, infatti, fanno della disintermediazione il loro modello di business, affondano le loro radici direttamente nella cooperazione sociale e producono norme e governance che creano rapporti di potere prima e oltre la sovranità statuale. A riguardo può essere utile riprende la distinzione fra spazi di flussi e spazi di luoghi fatta da Manuel Castells. Gli spazi digitali sono fatti di flussi transnazionali di dati che attraversano e striano i territori fisici. Allo stesso tempo, questi ultimi restano connotati da un potere statuale che è tutt’altro che superato ma si ridefinisce all’interno di un mutato contesto produttivo. C’è però una precisazione da fare. Sebbene l’utopia cyberpunk attribuisse alla nascita del digitale l’apertura di una quarta dimensione spaziale all’interno della quale non aveva potere il Leviatano, il potere statuale intreccia le sue prerogative con il potere dell’algoritmo: il colonialismo digitale delle piattaforme talvolta confligge, talvolta si sovrappone, altre ancora coopera con il sovranismo digitale degli Stati. Come pensare dunque in maniera articolata il rapporto fra spazi di flussi e spazi di luoghi?

C’è poi un secondo fattore da considerare, ovvero il contesto pandemico. Senza cadere in letture estremizzanti (nulla sarà più come prima vs non è cambiato nulla), sarebbe miope pensare che l’attuale crisi sanitaria non abbia ripercussioni sulle forme della produzione e della riproduzione. Il processo di globalizzazione ha trovato il suo sostrato materiale in primis nella costruzione delle supply chains e delle catene di valore globali. L’economia contemporanea si basa su una stretta iperconnessione di geografie differenti che permettono assemblaggi di molteplici forme del lavoro e la coesistenza di diversi regimi produttivi. Questo tessuto reticolare di produzione e circolazione è stato indubbiamente messo sotto stress dalla pandemia. Alla crisi della mobilità umana – rispetto alla quale il capitalismo ha risposto con un’accelerazione dei processi di digitalizzazione e logistificazione – ha fatto seguito una crisi della mobilità delle merci fatta di carenza di semilavorati e conduttori, numerosi colli di bottiglia, navi incagliate e container ammassati nei porti. Siamo dunque davanti a una torsione regionale della globalizzazione?

Davanti a questi fenomeni – accelerazione della digitalizzazione e contesto pandemico – il tratto rivoluzionario del capitalismo sembra essersi adoperato alla ricerca di nuove frontiere spaziali dove espandersi. Ne è un esempio il progetto del Metaverso lanciato da Mark Zuckerberg per rilanciare Facebook. Si tratta di una combinazione di realtà aumentata, internet delle cose e dispositivi elettronici. L’estremo realismo del capitalismo delle piattaforme si traduce nel tentativo di creare in maniera radicale la propria realtà all’interno della quale la cooperazione sociale e la vita sono immediatamente datificate. L’azienda statunitense non è l’unica a perseguire questo progetto, anche in Cina e Corea ci sono tentativi simili. Considerato che la quarta dimensione – quella digitale – è sempre più integrata nei nostri rapporti sociali e produttivi, ha senso ancora distinguere spazialmente virtuale e reale?

Allo stesso tempo, però, sembra essere tornato il tema della frontiera e della sua conquista. È partita una nuova fase della corsa allo spazio interstellare. La narrazione della crescita infinita sembra aver trovato una frontiera da superare – l’atmosfera – e una nuova dimensione lungo la quale svilupparsi. Come nel caso del Metaverso digitale, siamo davanti a una rottura con la sfericità del globo. Rispetto al passato, stavolta sono anche e soprattutto degli attori privati – tra cui il CEO di Amazon, Jeff Bezos – a guidare questa esplorazione. La New Space Race è dunque anche una potente arma simbolica che veicola il potere materiale acquisito da queste corporations rispetto ad altri poteri. Una narrazione che permette, allo stesso tempo, di attrarre costantemente grossi investimenti pubblici e privati e di sviluppare nuove tecnologie con ricadute sia in termini economici che di sicurezza nazionale.  Il nostro futuro è dunque nello spazio?


Letture consigliate:

S. Mezzadra e B. Neilson, Operazioni del capitale, Manifestolibri, 2021

Presentazione di Operazioni del Capitale con Sandro Mezzadra e Brett Neilson

Estrazione mineraria negli altri mondi, la fase superiore dell’estrattivismo

The Amazonification of Space Begins in Earnest

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