Eventi, Global Reset

Global Reset: scenari dal disordine planetario

Seminario 2022/2023 a cura di Into the Black Box. Sei incontri da ottobre 2022 a maggio 2023 per costruire in forma dialogica e collettiva una riflessione articolata e trans-disciplinare attorno alle sfide che lo scuotersi della globalizzazione per come l’avevamo conosciuta ci pone oggi.


20/10/2022Cos’è la globalizzazioneStorie e teorieFrancesco Strazzari, Claudio Minca
1/12/2022(Dis)ordine mondialeImperialismi, guerre e organizzazione del mercato mondialeSandro Mezzadra e Ida Dominijanni
16/2/2023La rottura delle catene globali del valoreLogistica e infrastruttureGiorgio Grappi, Sergio Bologna
16/3/2023Imperi commercialiIl potere delle Big Tech e il ruolo della finanzaChristian Marazzi, Lucrezia Goldin
13/4/2023Mobilità planetariaRegimi dei confini e autonomia delle migrazioniLorenzo Pezzani, Ruba Salih
18/5/2023Sguardi continentali e movimenti: America Latina, USA, Africa, Asia, EuropaLotte sulla riproduzione, giustizia climatica, circulation strugglesGiuseppe Lo Brutto, Felice Mometti, Giulia dal Maso, Paola Pasquali, Francesco Raparelli, Massimiliano Mollona, Federica Giardini

Per anni quello della globalizzazione è stato un mantra da ripetere, un’etichetta buona tanto per esaltare le opportunità di accesso a nuovi mercati quanto per criticare il ruolo neoliberale di alcune istituzioni internazionali. Eppure, quella che sembrava una condizione irreversibile del capitalismo contemporaneo è stata messa in questione ripetutamente e da diverse angolature. In particolare, due sembrano essere gli eventi determinanti dello smottamento in corso.

La pandemia mondiale, tra le varie cose, ha provocato un generale malfunzionamento e conseguente riorientamento delle supply chains – generato dalla mancanza di personale negli hub e negli snodi logistici, dal prolungato stazionamento delle merci nei porti e dei container sulle navi, dalla difficoltà nell’approvvigionamento di beni come i semi-conduttori la cui produzione poggia fortemente sulle catene globali del valore, dalle lotte nella circolazione. Di fronte a quella che è stata, tra le altre cose, una crisi della mobilità umana prima ancora che della mobilità delle merci, c’è stata una ristrutturazione dei processi produttivi attorno all’implementazione di tecnologie informatiche, accelerando la connettività digitale in luogo di quella “materiale”. 

La guerra in Ucraina – i cui contraccolpi sociali, economici e politici hanno investito primariamente l’Europa – sta inoltre avendo un effetto a catena su ben più estese geografie. Il tentativo di emancipazione dalla dipendenza energetica dei paesi dell’Unione dalla Russia sta contribuendo tanto a un’impennata dell’inflazione – con un conseguente rialzo dei tassi d’interesse ad opera delle Banche Centrali – che era già in aumento ben prima della guerra, quanto a una revisione delle politiche di transizione ecologica che negli ultimi anni si stavano faticosamente affermando. La rottura delle relazioni con la Russia ha posto i paesi europei davanti alla necessità di rafforzare altre relazioni internazionali – in primis per supplire alla mancanza di alcune materie prime. Inoltre, a titolo di esempio, le difficoltà logistiche sorte attorno all’esportazione di grano dal Mar Nero rischiano di causare nuove carestie, soprattutto nel continente africano. Il flusso di oltre 5 milioni di profughi ucraini verso ovest ha messo a nudo, ancora una volta, le dinamiche di inclusione differenziale che connotano il regime dei confini dell’Unione. Dal punto di vista politico, la guerra – militare, ma anche digitale ed economico-finanziaria – torna ad essere strumento centrale di definizione e confronto fra “blocchi” emergenti. In questo contesto, l’UE viene risucchiata sempre di più all’interno della NATO il cui ruolo geopolitico sembra improvvisamente ridefinito dopo il disimpegno trumpiano, anche alla luce del nuovo concetto strategico che individua nell’Europa e nel Pacifico i due fronti caldi (rispettivamente con Russia e Cina).

La convergenza di questi due eventi ha travolto la concezione stessa di ‘globalizzazione’ e ne rende necessario un ripensamento radicale. Sono diverse le opzioni che vengono proposte: ad esempio, si parla di de-globalizzazione (re-shoring), globalizzazione selettiva (friend-shoring), regionalizzazione. Ma cosa vuol dire esattamente dichiarare finita o ri-orientare la globalizzazione? Da parte nostra, pensiamo che prima di tutto sia necessario approfondire cosa si celi dietro il significante ‘globalizzazione’ e indagarne i vettori materiali. 

Questo concetto, d’altronde, ha una storia complessa che non può essere relegata esclusivamente alla sua declinazione neoliberale degli ultimi decenni. Già Marx parlava della costruzione di un mercato mondiale come presupposto e prodotto del modo di produzione capitalistico, laddove i processi di accumulazione richiedono l’integrazione delle diverse economie per la circolazione delle merci, per l’investimento dei capitali e l’assemblaggio gerarchizzato di una forza-lavoro globale. La costruzione di questo mercato mondiale è stata il frutto di diversi cicli di globalizzazione la cui evoluzione si interseca con il colonialismo, le rivoluzioni industriali, due guerre mondiali. La globalizzazione per come l’intendiamo oggi invece deriva da un cangiante contesto storico-politico che ha visto affermarsi tra gli anni Sessanta e Novanta un preciso paradigma neoliberale. Si tratta, dunque, di una declinazione particolare di questa tendenza generale del capitalismo, di un progetto nato attorno alla contro-rivoluzione alle lotte degli anni Sessanta e Settanta – strutturata attorno al Washington consensus, alla costruzione di catene transnazionali del valore, a un sistema di relazioni internazionali guidate da istituzioni come il FMI e la Banca Mondiale, all’egemonia politico-economica-militare statunitense – e che si prefiggeva la costruzione di un nuovo ordine mondiale – analizzabile, ad esempio, nei termini dell’Impero. Il biennio 1989-1991 rappresenta per certi versi il punto più alto di questo ciclo, il momento in cui con la caduta del muro di Berlino e lo sgretolamento del socialismo reale la storia sembrava “finire” e il mondo riunirsi all’interno di un mercato unico. Poco più di dieci anni dopo – in quel 2001 segnato dal G8 di Genova, dalla bolla delle Dot-Com e dall’attacco alle Torri Gemelle – quel progetto rivelava crepe profonde.

Inoltre, ci sembra che dietro l’unità della parola globalizzazione si celi una molteplicità di processi che si sovrappongono – non senza conflitti e frizioni tra di loro. Detta altrimenti, ci sembra utile domandarci, al di là dell’apparente unitarietà del fenomeno, quali siano i fattori la cui sovrapposizione ha dato forma al processo di globalizzazione e quali tendenze prefigurino oggi. Se ne possono indicare alcuni a partire da quanto detto finora: catene transnazionali del valore, sviluppo della finanza ed egemonia del dollaro sui mercati internazionali, politiche di mercato, processi di digitalizzazione che hanno aumentato la connettività delle diverse aree geografiche, sviluppo di infrastrutture e di mezzi di comunicazione, trattati ed istituzioni internazionali, urbanizzazione planetaria, migrazioni, costruzione di immaginari. Interrogarsi attorno al futuro della globalizzazione significa porre la questione delle trasformazioni e delle relazioni fra questi vettori, sviluppare un approccio analitico molteplice laddove invece spesso si sconta una superficiale tendenza metodologica alla semplificazione. Significa andare oltre un rigido approccio disciplinare che tende a limitare lo studio della globalizzazione a quello delle relazioni internazionali o alla geopolitica. Ci sembra inoltre necessario interrogarsi anche sui soggetti concreti che hanno costruito la globalizzazione, considerando ad esempio sguardi come quello dell’autonomia delle migrazioni e alle contro-cartografie del globale che si sono prodotte in questa direzione. Portando insomma in scena anche le spinte soggettive, i movimenti di classe e le istanze politiche e sociali transnazionali come quelle contro il cambiamento climatico e quelle trans-femministe che contestano gli assetti produttivi e riproduttivi contemporanei.

La nostra proposta è quella di organizzare un seminario annuale che provi a sviluppare questo approccio critico e molteplice alla globalizzazione. Ogni appuntamento si focalizzerà su alcuni dei vettori individuati per affrontare il futuro del capitalismo globale e degli assetti planetari in termini più complessi e sofisticati cercando di tenere in considerazione l’eterogeneità e la contraddittorietà di diversi processi, caratteristiche e trasformazioni. Per fare ciò avanziamo due ipotesi da mettere a verifica nel corso dell’anno.

La prima ipotesi è che la “crisi” di oggi affondi le proprie radici in una temporalità molto più lunga e in un insieme di spinte più profonde verso la ridefinizione degli assetti globali per come li abbiamo conosciuti. Sintetizzando, c’è un problema di organizzazione politica del mercato mondiale. Da un lato, infatti, più che un Capitale globale negli ultimi anni c’è stata una sempre maggiore integrazione delle catene globali del valore, la quale ha determinato la crescita economica di altri blocchi regionali non allineati al progetto di globalizzazione neoliberale americana. In questo senso, è significativo il ruolo acquisito dal G20 negli ultimi anni come forum di discussione allargato nonché di nuovi forum globali emanazione dei cosiddetti BRICS o nel contesto asiatico come la SCO. D’altra parte, si registra una crescente instabilità dell’ordine globale a trazione atlantica. Le disfatte militari e ideologiche in Iraq e Afghanistan si sommano alla competizione con la Cina, soprattutto nell’area del Pacifico attorno ai nodi delle infrastrutture e del digitale. Tuttavia, ci sembra che sia difficile una lettura lineare sulla scia della World System Theory: all’interno di una successione di cicli egemonici la finanziarizzazione costituirebbe la fase finale di un ciclo che a sua volta farebbe da preludio ad un nuovo ciclo incentrato sulla centralità della produzione sotto spinta cinese. Eppure, oggi ci risulta difficile considerare le operazioni finanziarie solamente in funzione anticiclica laddove invece ormai agiscono in maniera pienamente integrata con le altre operazioni del Capitale. Allo stesso tempo, la crescita della potenza cinese non equivale alla sua egemonia. Si dice che siamo in un mondo multipolare ma questo cosa significa esattamente? In cosa consistono i diversi blocchi regionali/continentali? E come sono connessi o in conflitto tra di loro?

La seconda ipotesi è che tanto la pandemia quanto la guerra in Ucraina non fungano solo da semplici crisi destituenti, ma da momenti costituenti di un nuovo dis-ordine globale. Siamo ancora lontani da processi di decoupling – fra mercati o infrastrutture digitali – ma indubbiamente si è innescato un movimento di ri-orientamento delle operazioni del capitale che scuote l’organizzazione politica del mercato mondiale. In questo senso il fatto che la guerra torni ad occupare il centro della scena politica non rappresenta una deviazione occasionale o un evento ai margini dell’Impero. È esplicitamente in nome della guerra che oggi si ridefiniscono le economie e le alleanze fra Stati. Questo implica inoltre un ripensamento critico del concetto di imperialismo al di là della lettura leninista della convergenza fra Stato e Capitale e dello iato tra politica ed economia. L’interregno fra la fine di un’egemonia e l’affermazione di un’altra – se ancora possibile – è dunque un’epoca di guerre e recessione economica?

A queste due ipotesi segue una postilla: è possibile pensare politicamente il ridisegnarsi degli spazi globali senza cadere nel monolitismo della geo-politica o delle relazioni internazionali? Detto diversamente, ci sono altri soggetti che sfuggono alle logiche della guerra interstatale e dell’egemonia capitalistica e che veicolano – quantomeno in potenza – una visione differente dei processi globali? In che modo è possibile immaginare nuovi significati per una politica internazionalista e per la critica del capitalismo?

È attorno a queste ipotesi e a queste domande che da ottobre 2022 a maggio 2023 ci vedremo mensilmente in un seminario aperto per costruire in forma dialogica e collettiva una riflessione articolata e trans-disciplinare attorno alle sfide che lo scuotersi della globalizzazione per come l’avevamo conosciuta oggi ci pone. Nel primo seminario analizzeremo le storie e le teorie della globalizzazione; dal secondo al quinto appuntamento ci focalizzeremo sui vettori dei processi globali quali la guerra e il mercato mondiale, la logistica e le infrastrutture, le grandi corporations tecnologiche e la finanza, i regimi dei confini; nell’ultimo incontro invece torneremo a ricomporre una visione d’insieme sulla globalizzazione a partire però da una molteplicità di sguardi situati in differenti geografie.

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