Alle frontiere dell'Amazon-Capitalism, Eventi, Multimedia

Working-Class Cyborg

Secondo seminario del ciclo Alle frontiere dell’Amazon-capitalism
Introduce e coordina: Niccolò Cuppini
Con: Tiziana Terranova, Edoardo Biscossi, Devi Sacchetto


Il ciclo adotta Amazon quale punto di ingresso per indagare alcune frontiere cruciali dello sviluppo capitalistico contemporaneo. In questo incontro intendiamo approfondire e discutere tre macro-aree:

1. Come sta trasformando il lavoro logistico in Italia l’affermazione di Amazon? In che modo la proliferazione di magazzini, il ricorso al “lavoro alla spina”, l’investimento in tecnologia, le promesse di Amazon, stanno modificando il mondo del lavoro e i suoi conflitti?

2. Il ciclo avviato con la crisi del 2008 e accelerato dalla pandemia appare nell’intensità di un salto d’epoca che ricorda la riflessione gramsciana di Americanismo e fordismo sulla formazione di una nuova umanità capitalista. Nel dibattito scientifico e politico si stanno affermando delle letture di questo passaggio che preludono al “nuovo fordismo” di una grande fabbrica globale senza pareti, a una neo- o iper- industrializzazione (messa a valore con procedure industriali della sfera personale e della riproduzione sociale, della vita quotidiana e delle infrastrutture collettive). Il salto tecnologico (digital-algoritmico) è l’infrastruttura che sostiene questo passaggio. Un neo-industriale che però contiene innovazione e forme arcaiche del lavoro in modo costitutivo. È questa un’impostazione utile da seguire o abbiamo bisogno di nuovi paradigmi per enfatizzare la rottura che l’Amazon-capitalism sta producendo?

3. Come possiamo indagare e inquadrare il rapporto tra tecnologia e lavoro nell’economia contemporanea? Quali sono i versanti di intensificazione di alienazione, spoliazione e sfruttamento e quali i potenziali di contro-uso e liberazione che la sempre più pervasiva integrazione tra umanità e macchine sta delineando?


In questo incontro intendiamo approfondire e discutere il tema delle trasformazioni del lavoro suddividendo la riflessione in tre macro-aree che sottoponiamo ai nostri relatori/ici. Se infatti si parla di “amazonizzazione della società”, e se è noto che l’Amazon Effect ha trasformato le economie non solo a partire dal suo business più evidente (quello della last mile logistics), è pur sempre vero che per produrre questo impatto di ampia scala l’importanza dei magazzini e della forza-lavoro di Amazon è indiscutibile. Secondo il World Economic Forum nel 2020 Amazon è diventata la quinta compagnia privata nel mondo, impiegando direttamente 1.2 milioni di lavoratori/ici – senza considerare l’enorme massa di forza-lavoro stagionale e temporanea, che in realtà è parte costitutiva del suo modello organizzativo. Inoltre, una delle ipotesi che guida questo ciclo di incontri è che Amazon costituisca una sorta di nuovo standard che in tendenza trasforma, secondo tempi e modi differenziati, l’insieme delle forme del lavoro, e che dunque indagare il “lavoro in Amazon” possa portare in evidenza tratti più generali del capitalismo contemporaneo.

A partire da queste considerazioni, proponiamo tre ambiti di riflessione, il primo di taglio più “empirico” sul lavoro amazonico, il secondo di stampo prettamente teorico, il terzo con un’inclinazione più direttamente politica.

1. Come sta trasformando il lavoro logistico in Italia l’affermazione di Amazon? In che modo la proliferazione di magazzini, il ricorso al “lavoro alla spina”, l’investimento in tecnologia, le promesse di Amazon, stanno modificando il mondo del lavoro e i suoi conflitti?

Le inchieste sul lavoro in Amazon stanno portando in luce come il lavoro nei magazzini[1] e quello interconnesso nelle strade sia difficile da automatizzare perché richiede molta riflessione, capacità creativa di risoluzione dei problemi, e il trasporto di scatole e pacchetti di varie dimensioni impossibili da standardizzare per una macchina. Considerazione che vale anche in altre branche del lavoro amazonico, come ad esempio il segmento del crowdworking su Amazon Mechanical Turk.

La soluzione a cui punta Amazon è quella di fondere la tecnologia con il lavoro umano per trasformare essenzialmente i lavoratori in robot industriali. Il cyborg non è più solo un’ipotesi emancipativa o parte di un immaginario fantascientifico, ma una realtà quotidiana del mondo del lavoro dove ormai l’uso di tecnologie digitali si è fatto tutt’uno con lo sfruttamento della forza-lavoro. Le tecniche sono molteplici, dalle forme di gameification (i magazzini come un enorme Tetris ad alta velocità) alla dotazione di una sorta di armatura robotica che non solo guida chi lavora, ma diventa il suo vero e proprio supervisor[2]. Si assommano nuove forme di comando sulla forza lavoro (sorveglianza tramite telecamere ad intelligenza artificiale, uso di big data che finiscono per sostituire il management – che finisce anch’esso ad essere semplice appendice per rinforzare gli algoritmi) alle classiche strategie di razzializzazione, precarizzazione, politica anti-sindacale e ricorso a bacini di mano d’opera impoverita per ottenere il massimo controllo.

Se questo è un laboratorio per l’economia del futuro, ossia se questo modello di lavoro è destinato ad essere esportato in altri settori e luoghi di lavoro, è anche vero che è già in atto, in particolare nel settore della logistica, un processo di amazonizzazione in cui Amazon si propone come modello generale delle condizioni di lavoro – pur in presenza di una molteplicità di modalità che non per forza punta a una progressiva omogeneizzazione. Una tendenza che d’altra parte vale per tutta la cosiddetta platform economy, in cui il punto centrale non si esaurisce nel tipo di lavoro organizzato dalle piattaforme digitali, ma dal più ampio processo di ‘piattaformizzazione’ che queste instaurano.

2. Una nuova fabbrica digitale e globale senza pareti?

Il ciclo avviato con la crisi del 2008 e accelerato dalla pandemia appare nell’intensità di un salto d’epoca che ricorda la riflessione gramsciana di Americanismo e fordismo sulla formazione di una nuova umanità capitalista[3]. Nel dibattito scientifico e politico si stanno affermando delle letture di questo passaggio che preludono al “nuovo fordismo” di una grande fabbrica globale senza pareti, una neo-industrializzazione. A cui si aggiunge una riflessione sulla scia della concezione dell’iper- industrializzazione di Romano Alquati[4]: una messa a valore con procedure industriali della sfera personale e della riproduzione sociale, della vita quotidiana e delle infrastrutture collettive. Nel salto digital-algoritmico al 4.0, fuori da qualsiasi determinismo teleologico e progressismo, si assommano forme arcaiche e iper-tecnologiche, passato e futuro convivono senza contraddizione apparente.

Per descrivere questo scenario, è tornata fortemente in auge l’immagine della Fabbrica. Una fabbrica certamente trasfigurata, che non richiama il passato né prevede assolute continuità con il fordismo. Una fabbrica senza pareti[5], una fabbrica digitale[6], una fabbrica 4.0[7], una fabbrica globale in cui sono sempre più ristretti i gradi di separazione tra il land-grabbing in Africa e l’algoritmo della finanza, una fabbrica che produce nuovi regimi di disciplina del lavoro suo subalterno, che comanda e sfrutta il lavoro vivo in forme vecchie e nuove assemblando forme di accumulazione originaria e di sussunzione formale, reale e totale[8].

Tuttavia l’impostazione interpretativa sulla “fabbrica” contiene il rischio di riprodurre un’immaginazione politica agganciata al passato e di enfatizzare solo il lato capitalistico dell’attuale sviluppo, lasciando fuori dai radar la dinamica antagonista dello sviluppo, ossia il conflitto tra la continua spinta verso il “comune” e quella per la sua espropriazione. Con movenze analoghe all’immaginario della fabbrica c’è anche il paradigma del neotaylorismo digitale – per riassumere, standardizzazione tramite dispositivi digitali – come categoria di analisi del lavoro da un punto di vista della sua processualità. Un concetto tuttavia tendenzialmente limitato ad alcuni lavoro e che non coglie quegli elementi di “resilienza” tipici del lavoro di piattaforma (le cosiddette soft skills del linguaggio manageriale, ossia saperi e capacità endogene messe a valore dal processo produttivo).

Inoltre l’immagine della fabbrica rischia di ricondurre al momento della “produzione” una centralità che il modello Amazon pare invece aver scalfito, laddove invece sono il consumo e la distribuzione a dettare gli standard e le ritmiche della produzione, e non viceversa. Come è meglio dunque interpretare e categorizzare il passaggio che stiamo vivendo?

3. Soggettività algoritmiche. Come possiamo indagare e inquadrare il rapporto tra tecnologia e lavoro nell’economia contemporanea? Quali sono i versanti di intensificazione di alienazione, spoliazione e sfruttamento e quali i potenziali di contro-uso e liberazione che la sempre più pervasiva integrazione tra umanità e macchine sta delineando?

Oltre a cartografare le dimensioni “oggettive” del capitalismo contemporaneo, ci domandiamo come poter catturare la composizione soggettiva, la sua antropologia, le possibilità politiche che dalla scomposizione sociologica di quella che fu la “classe operaia” del fordismo di fabbrica in moltitudine possano riproporre oggi forme nuove di rifiuto, organizzazione, conflitto. Come dicevamo in precedenza, la lente-Amazon consente di osservare sia criteri “noti” di segmentazione e gerarchizzazione della forza lavoro (lungo linee di genere e razza in primis) che forme inedite. È possibile esplorare la possibilità che questo assemblaggio del comando possa essere oggi rovesciato cercando nuove forme di composizione dentro e contro l’Amazon-capitalism?

Da questo punto di vista, in alcuni nostri scritti abbiamo abbozzato una topografia delle tattiche e strategie di lotta nel capitalismo 4.0, che variano dalla possibilità di un nuovo socialismo pianificato o di un ‘K-ommunism’[9] ad immagini neo-luddiste e di sabotaggio nella “second machine age”[10], passando per nuovi processi di sindacalizzazione e organizzazione territoriale, tra rifiuto e riappropriazione degli algoritmi. Lo scenario oscilla tra le letture che vedono in altre parole come ineluttabile la direzione del divenire ‘Amazombian’ e la possibilità opposta di un divenire-Cyborg di matrice harawayana, come spettro di possibili traiettorie di soggettivazione. All’interno di questa oscillazione, che vorremmo discutere, ci chiediamo anche quali possano essere oggi le modalità e gli strumenti per sviluppare forme di intervento politico, di ricerca e inchiesta[11] su Amazon e il suo mondo.  


[1] Vedi Alessandro Delfanti, The Warehouse. Workers and Robots at Amazon, London, Pluto Press, 2021: https://www.plutobooks.com/9780745342177/the-warehouse/.

[2] Vedi Mostafa Henaway, Infiltrating Amazon: What I learned going undercover at the corporate giant: https://breachmedia.ca/infiltrating-amazon-what-i-learned-going-undercover-at-the-corporate-giant/.

[3] Vedi Michele Filippini, Per la critica del concetto di rivoluzione, in Into the Black Box, Capitalismo 4.0. Genealogia della rivoluzione digitale, Milano, Meltemi, 2021: http://www.intotheblackbox.com/pubblicazioni/capitalismo-4-0; Aldo Bonomi (a cura di), Oltre le mura dell’impresa. Vivere, abitare, lavorare nelle piattaforme territoriali, Roma, Derive Approdi, 2021:

[4] Vedi Emiliana Armano e Salvatore Cominu, Connettività e capacità umana nella trasformazione digitale, in Into the Black Box, 2021.

[5] Brian Ashton, The Factory Without Walls, 2006: http://www.metamute.org/editorial/articles/factory-without-walls.

[6] Moritz Altenried, The Digital Factory. The Human Labor of Automation, Chicago, Chicago University Press, 2022: https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/D/bo123166001.html.

[7] Vedi Matteo Gaddi, Industria 4.0 e il lavoro. Una ricerca nelle fabbriche del Veneto, Milano, Hoepli, 2021: https://www.hoepli.it/libro/industria-40-e-il-lavoro/9788883512117.html; Dario Fontana, Digitalizzazione industriale. Un’inchiesta sulle condizioni di lavoro e salute, Milano, Franco Angeli, 2021: https://www.francoangeli.it/Ricerca/scheda_libro.aspx?ISBN=9788835131144.

[8] Into the Black Box, Per una critica del capitalismo 4.0, in Into the Black Box (a cura di), 2021.

[9] Nick Dyer-Witheford, Red Plenty Platforms: https://www.infoaut.org/notes/red-plenty-platforms.

[10] Brian Merchant, Blood in the Machine. The Origins of the Rebellion Against Big Tech, New York, L&B Company, 2022: https://www.hachettebookgroup.com/titles/brian-merchant/blood-in-the-machine/9780316487740/?s=03

[11] Vedi La Ribellione contro l’algoritmo di Amazon, note sull’agitazione dei drivers, 2021: https://www.infoaut.org/precariato-sociale/la-ribellione-contro-l-algoritmo-di-amazon-note-sull-agitazione-dei-drivers; Quando la merce danza automatizzata sul lavoro tapis-roulant, 2017: http://www.intotheblackbox.com/articoli/amazon-quando-la-merce-danza-automatizzata-sul-lavoro-tapis-roulant/.


Letture consigliate:

A. Casilli, Schiavi del clic: Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo?, Feltrinelli, 2020
T. Terranova, Free Labor: Producing Culture for the Digital Economy, Social Text 63, 2000
We have nothing to lose but our supply chains

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