AmericaLatina, Articoli

Note sulla governance coloniale dell’Angola portoghese. Estrazione diamantifera, finanza e logistica.

La proposta di Brett Neilson e Sandro Mezzadra di operations of capital non si esaurisce nell’analisi delle razionalità che governano il capitalismo contemporaneo. Tale intuizione, al contrario, deve misurarsi anche sul terreno storico, contribuendo a una rilettura dell’esperienza coloniale. Si tratta di condurre alle estreme conseguenze, «la sfida di incrociare le intuizioni prodotte nel campo della geografia critica, […] con uno sguardo alle operazioni estrattive del capitalismo contemporaneo […], attento alla continuità con l’esperienza coloniale»[1].

Differenza e ripetizione, continuità e rottura: è questo il prisma adottato in questo testo. Cercherò di dare conto di questo processo di sussunzione guardando a come l’insieme di estrazione, logistica e finanza, i tre vettori su cui si articolano le operazioni del capitale, abbia svolto un ruolo centrale nel plasmare la geografia e la politica imperiale portoghese in Angola tra la fine dell’800 e l’inizio del XX secolo.

Non si tratta di affermare una invariabilità storica, ma di offrire spunti di riflessione a due discussioni speculari: da un lato quella storiografica, cercando di mostrare le potenzialità di attingere ai problemi del presente per guardare al passato; dall’altro quella relativa a un approccio genealogico a questi tre vettori. Recuperando una visione processuale della global history l’obiettivo è quello di scardinare la falsa coscienza dell’inevitabilità del progetto neoliberale, cercando una sintonia con quegli appelli a una uscita “dal presentismo” e che invitano a «dotarsi di un’analisi di longue durée», al fine di «superare un’impostazione incentrata sulla contemporaneità, che rischia di appiattire il concetto e farsi ammaliare dall’ideologia logistica»[2].

Neo-estrattivismo: il paradigma coloniale

Con attenzione particolare all’America Latina, Mariastella Svampa definisce il neo-estrattivismo come il risultato di riforme neoliberali di ristrutturazione di bilancio, il cui obiettivo è quello di attrarre investimenti internazionali attraverso la liberalizzazione dei mercati fondiari, la privatizzazione della proprietà fondiaria e la capitalizzazione del settore agricolo e minerario[3]. In che modo questa visione interroga il passato coloniale?

In una conferenza tenuta nel 1881 presso la Società di Geografia di Lisbona, il geologo Lourenço Malheiro formula un programma estrattivista per le colonie portoghesi. Il modello proposto replica quello del colonialismo interno americano ed è cosi sintetizzabile: lo Stato deve provvedere al riconoscimento scientifico del territorio coloniale; deve indicare i principali siti estrattivi, gli investimenti necessari e i guadagni spettabili; deve poi, pubblicare i risultati in varie lingue e distribuirli nelle varie capitali del mondo; i flussi di investimento privato riempiranno in questo modo le colonie portoghesi; il colono portoghese bianco si occuperà del lavoro amministrativo; “al braccio negro” spetta invece il compito del lavoro estrattivo duro e puro, sotto un regime di lavoro forzato[4].

Lo stato coloniale portoghese non disponeva della capacità per mettere in campo tale programma, tuttavia procedette a due significative riforme. In primo luogo, riformò la commissione geologica imperiale scalzando i tecnici provenienti dal settore dell’esercito, formati alla scuola della geologia descrittiva e della cartografia, come dispositivi scientifici per lo studio della storia naturale delle colonie, in favore di tecnici aderenti al programma della geologia economica emergente negli USA. Questa particolare visione intendeva la geologia come un insieme di conoscenze e pratiche volto a raccogliere informazioni direttamente spendibili per l’industria estrattiva e per la costruzione di infrastrutture. In secondo luogo, procedette, nel 1906, alla liberalizzazione del mercato fondiario e dei potenziali giacimenti estrattivi, con l’obiettivo di ovviare alla scarsità di risorse per finanziarie missioni di “occupazione scientifica” del territorio coloniale. 

In sostanza, il governo coloniale mise in campo una politica di sostituzione dei suoi quadri in favore di una adesione al mercato, che si sviluppò parallelamente all’inserimento delle terre coloniali nel mercato globale dei terreni agricoli e dei giacimenti minerari, in modo da collocarsi come un nodo al centro dei flussi finanziari globali.  Vale la pena aggiungere che la riforma del 1906 rimase in vigore fino al 1974, come unica legge imperiale per la concessione di diritti estrattivi. Tutti i tentativi di riforma messi in campo dagli anni cinquanta in avanti, annunciati sotto il segno della modernizzazione e del rafforzamento della sovranità imperiale, inciamparono sull’ostacolo eretto dall’incontro tra la traiettoria discendente dell’impero portoghese e quella ascendente del neoliberismo globale.

Militari, finanza, estrattivismo e logistica

Questa riforma, invece di rappresentare l’affermazione della sovranità imperiale, andava nella direzione di una “modalità di governo adattativo”, di un “governo dietro la politica”, una modalità che alcuni anni più tardi troverà la sua sistematizzazione teorica nella proposta neoliberale di Walter Lippmann. A inserirsi in questo contesto fu una cordata di capitali internazionali. All’inizio del 1900, la ben finanziata missione geologica belga, che operava nell’attuale territorio della Repubblica Democratica del Congo, scopri l’esistenza di un enorme giacimento di diamanti. I geologi finanziati dalla corte di Bruxelles entrarono anche in territorio angolano trovando anche li ricchi giacimenti diamantiferi. Nel 1912 venne costituita la PEMA, Companhia de Pesquisa Mineira de Angola. I principali finanziatori erano inglesi, statunitensi, francesi e belgi. Questa compagnia darà vita a due imprese: una dedicata all’estrazione petrolifera, l‘altra all’estrazione diamantifera. L’impresa petrolifera durerà poco tempo, tuttavia i flussi internazionali di capitali accorsi a supportarla, provenienti maggiormente da capitale speculativo belga e americano, produssero una frizione tra la rigida frontiera imperiale e il piano liscio di questi flussi. Tale tensione risulta con maggiore evidenza guardando allo sviluppo dell’impresa diamantifera, la DIAMANG. Nel giro di poco tempo questa diventò il principale settore di esportazione coloniale, sotto controllo del capitale internazionale[5]. La DIAMANG, ben presto, oltrepassò la sua ragione sociale iniziale, diventando un istituto bancario che attuava sia attraverso operazioni di capitale speculativo sia come prestatore allo stato coloniale.

Quali fattori resero possibile la formazione di questa rete transazionale di capitali, che legava il settore estrattivo direttamente al mercato finanziario, occupando materialmente il territorio coloniale amministrato dal Portogallo? In primo luogo, il processo di edificazione della DIAMANG non fu lineare. L’esercito coloniale portoghese si impegnò in una guerra ultradecennale per l’effettiva occupazione della regione diamantifera, contro le popolazioni locali che rifiutavano la dominazione coloniale. Solo al termine della guerra si verificarono le condizioni per l’inizio dell’attività estrattiva. In secondo luogo, la tensione tra l’apparente superficie liscia dei flussi finanziari e i rigidi confini geopolitici descrive la logica imperiale che governò lo sfruttamento delle risorse nella colonia. Il controllo manu militari si tradusse in un doppio processo di chiusura e apertura, legandosi alla spartizione territoriale avvenuta alla conferenza di Berlino: chiusura delle frontiere politiche coloniali e apertura selettiva a flussi finanziari direttamente impiegati nel settore estrattivo e nella costruzione di infrastrutture, le cui finalità venivano determinate dalle esigenze dei mercati globali delle commodities. L’apertura selettiva da parte dell’autorità imperiale a questi flussi si trasformò però nel suo opposto: l’autorità politica imperiale divenne dipendente da questi stessi flussi, che plasmarono la stessa governance coloniale.

La tensione tra flussi e circolazione da un lato, e frontiere imperiali dall’altro, è ancora più evidente guardando alle infrastrutture di circolazione e commercio dei prodotti coloniali. L’economia dell’articolo non lascia spazio per l’approfondimento necessario. Basta menzionare, però, che le frontiere imperiali decise alla conferenza di Berlino erano ancora disputate agli inizi del XX. A chiarire la situazione, tuttavia, più che la diplomazia poté l’imperativo della circolazione. La necessità di garantire agli interessi diamantiferi nella regione mineraria dell’Angola e del Congo e agli interessi estrattivi insediati nel Katanga – si trattava, grossomodo, degli stessi gruppi economici transnazionali – l’accesso a uno sbocco commerciale marittimo, si concretizzò con la costruzione di una ferrovia fino al porto di Lobito, situato nel sud angolano. Ancora più interessante, è che mentre lo stato portoghese scommetteva sullo sviluppo di altre zone portuali, questi interessi estrattivi disegnarono una rete logistica che fini per diventare essenziale ai bilanci pubblici. Ridisegnando la geografia politica ed economica della regione, si riarticolava la stessa nozione di sovranità imperiale.

Considerazioni finali su una possibile agenda di ricerca

Ho cercato di mostrare come estrazione, finanza e logistica abbiano svolto un ruolo centrale nell’espansione del capitalismo nello spazio imperiale portoghese, generando una sovrapposizione tra diversi regimi di sovranità. In questo modo, interrogativi che sorgono dall’osservazione di problemi contemporanei, aiutano a intendere processi collocati su temporalità differenti. Allo stesso tempo le brevi note qui riportate evidenziano due problemi su cui concentrare il nostro sforzo di comprensione.

In primo luogo, è evidente l’esistenza di un fattore militare che riarticola la relazione tra questi tre vettori e problematizza ulteriormente la nozione di Stato e il funzionamento dei suoi apparati. Schematicamente, l’occupazione militare della zona diamantifera nell’interno angolano ha funzionato doppiamente per l’affermazione della sovranità statale sul piano geopolitico, e per l’affermazione della sovranità territoriale della DIAMANG, come uno dei nodi al centro dei circuiti globali della circolazione e dei flussi finanziari.

In secondo luogo, questi tre vettori descrivono non solo la razionalità del capitalismo contemporaneo, ma come avvenuto nel caso della sostituzione dei quadri coloniali, in favore di tecnici aderenti alla geologia economica, il combinato disposto di estrazione, logistica e finanza danno luogo anche a un processo di ristrutturazione epistemologica, che da un lato agisce sulla strutturazione delle discipline, cioè sulle modalità attraverso cui si cerca di capire il mondo, in questo caso il territorio coloniale, e dall’altro lato, agisce direttamente sui meccanismi di riproduzione della burocrazia statale. In sostanza, si tratta di approfondire il rapporto tra ricerca, Stato e le operazioni del capitale, collocando fattori come la scienza e la tecnologia all’interno di questo triangolo.


[1] Sandro Mezzadra and Brett Neilson, The Politics of Operations: Excavating Contemporary Capitalism (Durham: Duke University Press, 2019), 47.

[2] http://www.intotheblackbox.com/manifesto/manifesto-di-critica-logistica/

[3] M. Svampa, “Commodities Consensus: Neoextractivism and Enclosure of the Commons in Latin America,” South Atlantic Quarterly 114, no. 1 (January 1, 2015): 65–82. Per uma nozione allargata di neoestrattivismo, capace di includere dentro uno sguardo critico aspetti inediti come il ruolo giocato dalla proprietá intellettuale, dai big data o dalle piattaforme digitali, cfr: Verónica Gago and Sandro Mezzadra, “Para una crítica de las operaciones extractivas del capital,” Nueva Sociedad, no. 255 (February 2015): 15.

[4] Lourenço Malheiro, Exploraçoes Geologicas e Minerais nas Colonias Portuguesas. Sociedade de Geografia de Lisboa, Gennaio 1881

[5] I principali finanziatori erano: Anglo-American Corporation (S. Africa), il gruppo Oppenheimer, la Morgan Bank, il gruppo De Beers, Guggenheim, il gruppo T. F. Ryan, le società minerarie Forminière, e Union Minière du Haut-Katanga, la Guaranty Trust Bank, e la società finanziaria Société Générale de Belgique. Cfr., Todd Cleveland, Diamonds in the Rough: Corporate Paternalism and African Professionalism on the Mines of Colonial Angola, 1917-1975, New African Histories (Athens, Ohio: Ohio University Press, 2015).

Articoli Correlati