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L’estrattivismo Apuano. Storie di un territorio in Occidente

Le Alpi Apuane rappresentano un caso di studio paradigmatico dell’estrazione di materie prime in ambito europeo: territorio di grande pregio naturalistico e paesaggistico, strategico bacino idrico della Toscana, ma anche uno dei principali bacini estrattivi di marmo bianco del pianeta. Queste montagne sono soggette a una fortissima predazione e vengono messe a valore trascurando l’impatto ambientale, sociale ed economico su comunità ed ecosistemi.


Da decenni assistiamo alla diffusa necessità, da parte del sistema capitalista, di sfruttare porzioni sempre maggiori di territorio e di sacrificarle alla devastazione (Barca 2014). È il caso dell’estrazione di risorse e materie prime, ma anche dei grandi progetti per la produzione di energia o delle grandi infrastrutture logistiche (Mezzadra e Neilson 2020). La riconoscibilità di queste aree di sacrificio diventa centrale nella lettura dei meccanismi di sfruttamento e vanno considerate non come casi isolati, ma come un fenomeno complesso e diffuso (Barca 2014).

Date le sue caratteristiche socio-economiche, la provincia di Massa Carrara subisce dinamiche tipiche di queste aree. Sebbene si trovi geograficamente a far parte del “nord industrializzato”, presenta infatti alcune delle caratteristiche proprie di quei territori marginali e colonizzati da grossi operatori finanziari appartenenti al cosiddetto nord globale (Bullard & Johnson 2000). Guardando alla definizione proposta da Raul Zibechi, anche in quest’area si riscontra: un’occupazione massiccia di territori, relazioni asimmetriche tra le imprese transnazionali, economie di enclave, forti interventi politici, attacco all’agricoltura familiare, estrattivismo come «attore sociale totale» (Zibechi 2016). Inoltre, ci sono altri fattori ricorsivi che ritroviamo nella letteratura dell’estrattivismo: centralità dell’export, soggetti ibridi che traggono profitto (multinazionali, banche e governi), occupazione di grosse porzioni di territorio, anche se non ancora militarizzate (Svampa 2012; Acosta 2017). La recente quotazione in borsa di una storica azienda del marmo[1] è un esempio significativo dell’intreccio di tutti gli elementi appena descritti.

Le Alpi Apuane sono una catena montuosa geomorfologicamente giovane e dalle forme aguzze: siamo nel 2023 e sono passati 2000 anni da quando i romani hanno iniziato a estrarre sistematicamente marmo da questo «paradiso geologico e geomorfologico» (così definite da chi ha l’occhio esperto: il geologo Mauro Chessa, intervista svolta nel luglio 2021). Qui si possono ammirare speroni di roccia a 10 km dal mare che raggiungono quasi i 2000 metri di altitudine. Gli abissi sono tra i più profondi d’Europa e il bacino idrico ospitato è il più grande della Toscana. Le Alpi Apuane sono inoltre la casa di oltre 36 endemismi[2] tra flora e fauna. Vi si trovano 36 vette tra i 1000 e i 2000 metri di altitudine e il giacimento di marmo bianco, oltre che tra i più pregiati, è fra i più estesi al mondo. Purtroppo, due tra queste vette affacciate sul mare sono ormai totalmente distrutte dall’attività estrattiva: il Monte Carchio e il Picco di Falcovaia sono ormai solo cave a cielo aperto.

In termini di produzione, l’estrazione di marmo ha avuto la sua prima impennata durante la prima rivoluzione industriale, acquisendo un andamento iperbolico a partire dalla seconda. L’affermarsi dell’industria del marmo si data tra fine ‘700 e inizio ‘800, raggiungendo il suo apice in termini occupazionali attorno agli anni trenta del Novecento, quando vedrà occupati oltre 12000 impiegati. Dopo la seconda guerra mondiale, negli anni sessanta, il numero degli addetti verrà dimezzato, arrivando a soli 6000 lavoratori nel comprensorio carrarese[3]. Da questo momento la diminuzione dei posti di lavoro sarà inesorabile. In una prima fase, la trasformazione dei mezzi per l’escavazione e la lavorazione del marmo ha portato un radicale miglioramento delle condizioni di lavoro, a cui è però presto seguita una progressiva diminuzione dell’occupazione in cava e nell’indotto.

Le Alpi Apuane sono composte per lo più da marmo bianco dal quale è possibile ricavare carbonato di calcio purissimo. Negli anni ottanta, con il concetto di economia circolare, nasce l’idea di commercializzare gli scarti dell’escavazione tradizionale: così inizia la storia di Omya in Italia. Questa azienda nel 1988 acquisisce lo stabilimento di Avenza: nasce il business delle Apuane in polvere (prima di questo momento tutto ciò che aveva valore estrarre era il blocco integro e di qualità). Nasce allora il settore lapideo che dà un impulso enorme all’estrazione: è in questa fase espansiva che troviamo le radici del sistema estrattivista apuano. Fattori determinanti per queste trasformazioni sono stati la modernizzazione progressiva dei mezzi di produzione e la nascita del mercato del carbonato di calcio, che ha trasformato radicalmente gli usi del materiale marmo da un prodotto essenzialmente di lusso a un prodotto commercializzabile e di consumo[4]

Le Apuane non sono più solo fonti di prodotti di lusso per pochi, ma il materiale da loro estratto entra un po’ nei nostri dentifrici, nelle creme o in quello che mangiamo. Questo processo di recupero del detrito ha prodotto un’ovvia diminuzione dei costi di estrazione, inducendo la costruzione di un nuovo profittevole mercato tanto redditizio da portare alla riapertura di cave che non producevano blocchi da decenni. Nel 2020 il nuovo regolamento comunale di Carrara ha normato quanto detrito/scarto ogni cava può produrre[5]. Viene riconosciuto come detrito medio concesso a tutti l’80% e, per alcuni casi particolari, è possibile arrivare a estrarre fino al 90% solo di detrito. È quindi anche grazie allo “scarto” che, a partire da metà del ‘900, il quantitativo di estratto annuo cresce esponenzialmente, fino a raggiungere le quattro milioni di tonnellate l’anno di oggi. Secondo una semplice valutazione che si può trovare nell’analisi contenuta in “Che dite – Aperiodico Anarchico – Numero unico contro la devastazione delle Alpi Apuane (giugno 2021) e da altri gruppi ecologisti, dal 2000 al 2015 è stata estratta la stessa quantità di marmo estratta nei 2000 anni precedenti.

Parallelamente a questi dati, troviamo una provincia (Massa Carrara) che presenta il tasso di disoccupazione giovanile più alto del centro nord Italia[6]. Questo è un territorio che sta subendo un crollo nei servizi e nelle offerte culturali da parte del pubblico da oltre dieci anni e che ritrova svenduti sia il proprio mare che i propri monti.

“La città si stava impoverendo a vista d’occhio, ma non da ora: cioè, eventi culturali, niente; non c’era più un cinema, cioè, proprio distretto minerario, capito? Noi eravamo rei solo di portare la pagnotta a casa” (intervista, luglio 2021, Presidente della Lega dei Cavatori).

È in questo contesto che emerge una forte matrice identitaria e la narrazione mainstream, spesso, ripropone questo binomio: “Carrara è il marmo, il marmo è Carrara”. La paura e il ricatto attanagliano una popolazione che in larga parte vive ai margini di precariato e lavoro stagionale sottopagato. È in questo contesto lavorativo complesso, precario e frammentato che il legame costruito tra l’essere umano, la comunità e il lavoro in cava produce una relazione viscerale che si colloca tra una visione superomistica e l’idea dell’essere nati per fare quello; l’idea di avere scritto nel DNA che cavare il marmo sia il proprio destino. Qui l’analisi delle mitologie, che permeano questo territorio, diventa necessaria ed evidenzia in modo chiaro la natura predatoria ed estrattivista attuata dal comparto del lapideo apuo-versiliese negli ultimi 30-40 anni.

Le narrazioni mainstream prodotte da istituzioni, fondazioni e imprese stressano questa relazione tra la città e il marmo attraverso eventi di greenwashing ed art-washing di ogni sorta, finanziati dalle briciole che i “padroni dei monti”, mecenati di un tempo passato, decidono di distribuire sul territorio.

Se c’è stato un tempo in cui l’economia locale era profondamente dipendente dall’estrazione e dalla lavorazione del marmo, dal secondo dopoguerra a oggi la situazione è enormemente cambiata. Con la definitiva globalizzazione della filiera il marmo estratto in blocchi dalle Alpi Apuane viene in larga parte esportato altrove per essere lavorato. Ciò, oltre a un’accelerazione delle dinamiche estrattive, ha prodotto anche il declino definitivo di tutte quelle maestranze, di quei saperi, che qui risiedevano da secoli. E come se non bastasse, a queste dinamiche si è associato l’emergere del business del carbonato di calcio, che oggi riguarda oltre l’80% dell’estratto. Queste trasformazioni hanno alimentato la classica dinamica di privatizzazione e concentrazione dei profitti da un lato e socializzazione dei costi ambientali, sociali ed economici dall’altro.

Nell’analizzare i complessi effetti che tale economia di rapina ha sul territorio apuano, possiamo definire questo un caso paradigmatico dell’estrattivismo in Europa. Da tale riflessione si è riaperto, negli ultimi anni, un vivace dibattito cittadino intorno all’estrazione di marmo, ai suoi effetti, alle mitologie e alle narrazioni tossiche che alimenta sul territorio.

Il contesto all’interno del quale gli attivisti si muovono, risulta essere assai complesso. L’estrattivismo ha enormi ricadute sui territori che depreda e, tanto più il processo è articolato, tanto più le risposte e le pratiche introdotte devono essere varie: dalle pratiche di piazza, alla video art, dalle passeggiate in montagna, alle performance dalle vertenze sindacali, alle denunce legali, fino ai sanzionamenti.

I temi ambientalisti legati a tutela e cura dell’ambiente montano si intrecciano con temi complessi, quali lavoro, narrazioni tossiche, finanziamenti e disuguaglianze, che influenzano profondamente il territorio e le comunità che vi abitano. Dall’analisi di questi temi nasce il percorso di Athamanta, che si affianca ad associazioni quali Legambiente, il GRIG, la TAM Cai e Apuane Libere, ma anche a esperienze antagoniste e culturali già presenti sul territorio[7].

Il 4 Gennaio 2020 la città di Massa ha visto migliaia di persone scendere in piazza contro la riapertura di sette nuove cave. La manifestazione chiamata dal CAI di Massa ha avuto un fortissimo impatto e un eco altrettanto pervasivo. Nello stesso periodo anche il percorso di Athamanta prendeva corpo e gambe, con la volontà di lavorare in sinergia con i soggetti portatori di conoscenze decennali sulla lotta alle cave, proponendo però una prospettiva sul tema della relazione lavoro-ambiente e collaborando con il gruppo locale dell’Unione Sindacale di Base. Nei passati anni sono state diverse le pratiche attivate e condivise dai gruppi ecologisti del territorio. La capacità di attraversare e abitare un territorio tanto ostico come le Alpi Apuane diventa di primaria importanza per attivisti e attiviste che vogliono lottare contro il sistema estrattivista. Purtroppo, morti e gravi infortuni, su questi monti, sono frequenti non solo per coloro che in cava ci lavorano, ma anche per gli escursionisti. Per questo motivo camminare in montagna insieme assume un valore unico, poiché si abbandona la ricerca della performance propria dell’alpinismo cercando invece un equilibrio e una cura nel vivere la montagna, attraversando luoghi meravigliosi e incontaminati ma anche aree brutalmente stravolte dall’uomo e dal suo agire. Con questi obiettivi ha preso corpo “A-traverso – escursione come pratica collettiva” e “Carsica – tre giorni di cura, socialità e lotta sulle Alpi Apuane” campeggio presso Campocecina, in prossimità di diverse cave del bacino Carrarese.

Un altro tema che è emerso fortemente nell’ultimo decennio e che ha un grande potere su questo territorio e la comunità che lo abita è quello delle narrazioni tossiche. Costruire una viscerale relazione con un materiale, naturalizzare il suo processo estrattivo necessita di una radicale decostruzione. È in tale contesto che diversi artisti di Carrara, ma non solo, hanno deciso di partecipare a “Sorgenti – Arte contro la devastazione”, una mostra che racconta Carrara, ma anche la storia di tutti quei territori soggetti a una costante predazione.

La lotta all’estrattivismo sulle Apuane è composita e complessa: si muove in modo trasversale su diversi temi, cercando di contribuire alla decostruzione delle mitologie e alla costruzione di un dissenso diffuso e collettivizzato, tentando di deprovincializzare la lotta e di parlare al territorio con una pluralità di metodi e pratiche.


Acosta, A. (2017). Post-extractivism: from discourse to practice—reflections for action. International Development Policy9(1), 77-101.

Barca, S. (2014). Telling the right story: Environmental violence and liberation narratives. Environment and History, 20(4), 535-546.

Bullard, R. D., & Johnson, G. S. (2000). Environmentalism and public policy: Environmental justice: Grassroots activism and its impact on public policy decision making. Journal of social issues56(3), 555-578.

Mezzadra, S., Neilson, B. (2020). Operazioni del capitale: il capitalismo contemporaneo tra sfruttamento ed estrazione. manifestolibri la Talpa.

Svampa, M. N. (2012). Resource extractivism and alternatives: Latin American perspectives on development. Journal fur Entwicklungspolitik28.

Zibechi, R. A. Ú. L. (2016). El extractivismo como cultura. La Jornada14.


[1] Franchi Umberto Marmi S.p.a

[2] Alcune specie vegetali o animali che sono esclusive di un dato territorio.

[3] “Che dite” editoriale anarchico edita e prodotta dal Circolo Goliardo Fiaschi

[4]  Report di CONFINDUSTRIA LIVORNO MASSA CARRARA, 2015

[5] Idea già presente nella legge regionale Toscana 35/2015, i valori vengono però ampliati

[6] http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=20745

[7] per approfondimenti: https://athamanta.wordpress.com, https://gruppodinterventogiuridicoweb.com, https://www.legambientecarrara.it, https://apuanelibere.org e molti altri. 

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